nali; più complesso estrarlo dalle vene incluse in filoni di quarzo: era necessario allora fratturare la roccia con l’ausilio del calore del fuoco, quindi frantumarla e ridurla in polvere, da lavare con getti d’acqua in modo da trattenere le particelle metalliche, più pesanti.
   Le analisi dei manufatti rivelano in generale una buona caratura dell’oro; vi si possono comunque rilevare impurità, specialmente di argento e rame, talora in sensibile percentuale. La lunga esperienza degli artigiani consentì quindi, oltre che di renderlo quanto più possibile puro, anche di produrre effetti cromatici sull’oro (come quella patina rossastra, che forse appresero dai colleghi asiatici) o di ricavare artificialmente leghe, come l’elettro: il suo colore pallido era apprezzato, da quando la lega naturale (di oro e argento) era stata scoperta nel deserto orientale e nella terra di Punì. Solo nel Nuovo Regno divennero più consistenti le importazioni dal Vicino Oriente dell’argento, il «bianco», che, in quanto più raro in Egitto, fino al Medio Regno era valutato più dell’oro: bisogna arrivare alle tombe regali di Tani (XXI-XXII dinastia) per vederlo adoperato in una profusione che prima non ci si poteva permettere.
   Le scene di artigianato riprodotte sulle pareti delle tombe costituiscono una ricca fonte di informazioni sull’organizzazione del lavoro e sulle tecniche conosciute e adoperate (tavv. 323, 324).
   Almeno nella fase iniziale della fonditura il lavoro nelle oreficerie non doveva presentare molte differenze rispetto alle altre officine metallurgiche: e sarà molto probabilmente veritiera l’affermazione di Kheti (l’autore dell’Insegnamento, risalente al Medio Regno, che rimase uno dei testi “classici” nella scuola egizia), per quanto finalizzata a convincere suo figlio della convenienza del mestiere di scriba: «... ho visto il fabbro al suo lavoro, alla bocca della sua fornace: le sue dita sono come di pelle di coccodrillo, puzza più che le uova di pesce». Il fatto poi che lo stesso Kheti non abbia mai effettivamente visto un ore-
310.   Collana di perline di corniola alternate a pendenti che riproducono i frutti del melograno; in colore contrastante, sono intercalati amuleti ib, il cuore (quarzo, lapislazzuli, anfibolite).
Alle due estremità la sequenza è interrotta
dall’inserzione di un amuleto udjat e di un elemento ovoidale allungato, detto sueret, probabilmente da ricollegare ai più antichi pendagli, con valore amuletico. Nuovo Regno.
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