Firenze e la toscana 19 dovinetti, e soprattutto a Piero della Francesca, che nel 1439 risulta collaboratore del Veneziano in Sant'Egidio. Nella personalità di Piero si sintetizzano e si esprimono al più alto grado i raggiungimenti delle esperienze prospettiche fiorentine, sia a livello di realizzazioni che su un piano teorico. Nel «De prospectiva pingendi» egli giunge persino a identificare la pittura con la prospettiva: «la pittura non è se non dimostrationi de superficie et de corpi degradati o accresciuti [...] secondo che le cose vere vedute da l'occhio socto diversi angoli s'appresen-tano». E le architetture dipinte di matrice albertiana nell'affresco malatestiano a Rimini, nel ciclo aretino e nella Flagellazione di Urbino ne sono prova eloquente. Le riflessioni sulla pittura fiorentina intorno a Domenico Veneziano e sui precetti del «De pictura» lo portano a selezionare una tiepida luce meridiana, tonalità chiare e preziose armonie cromatiche (l'albertiana «amistà» dei colori), e a ricercare attraverso una sublime astrazione quella che con formula stringata e riduttiva, ma nondimeno efficace, è stata definita perfetta «sintesi prospettica di forma e colore». Nel 1447 la famiglia Bacci, patrona della cappella maggiore di San Francesco ad Arezzo, commissionò un ciclo di affreschi con Storie della Vera Croce all'anziano e attardato pittore fiorentino Bicci di Lorenzo, che aveva dato prova delle proprie capacità narrative nella Consacrazione della chiesa di Sant'Egidio (Firenze, Ospedale di Santa Maria Nuova, 1440), probabile debole desunzione dalla Sagra masaccesca13. Dopo aver messo mano alla volta e al sottarco Bicci si ammalò e morì nel 1452. Con ogni probabilità Piero della Francesca gli subentrò immediatamente e prima del suo soggiorno romano, del 1459, portò a termine uno dei testi pittorici più complessi del Quattro-cento per molteplicità di referenti culturali, stratificazione di significati, magnificenza delle composizioni che coniugano aulica cerimonialità, di impronta profondamente sacra14, e fiera concretezza rurale, ingrediente quest'ultimo particolarmente vivo nella di poco posteriore Resurrezione del Museo di Sansepolcro15. Le recenti analisi diagnostiche effettuate sulle pareti hanno rivelato l'impiego di una tecnica mista che combina l'affresco tradizionale con estese Arezzo, San Francesco. Piero della Francesca, Adorazione del Sacro Legno e incontro di Salomone con la regina di Saba. 13) Nel contesto della pittura rinascimentale Bicci riveste un ruolo di qualche rilievo esclusivamente come maestro; dalla sua bottega passarono fra gli altri lo Scheggia, attivo sino al 1486 (affreschi nell'oratorio di San Lorenzo a San Giovanni Valdamo, 1456); Stefano d'Antonio di Vanni; il figlio Neri di Bicci, che esordisce aggiornando blandamente i modi paterni (Monumento Morsili in Santa Maria del Fiore, 1439; San Giovanni Gualberto in trono, Santa Trinità, ma proveniente da San Pancrazio, 1455) per poi guadagnare uno stile personalissimo nelle molte opere su tavola; infine il dialettale Maestro di Signa, prolifico frescante di chiese rurali e tabernacoli. Un altro pittore di questa generazione, che rimarrà sempre ancorato ai modi ma-solineschi, è Paolo Schiavo (affreschi dell'oratorio della Querce a Legnaia, 1460). 14) C. De Tolnay 1963, pp. 222-230. 15) Le diverse opinioni sulla cronologia degli affreschi aretini sono riassunte in C. Bertelli 1991, pp. 186-188.