SILVIO CURTO
Hermann Junker diresse per 15 anni, dal 1912, gli scavi nella necropoli di el-Giza; lavorò poi anche a Merimde e Toshka in Nubia.
Questa decisa condanna pesò e pesa tuttora largamente sull'arte egizia. Dopo il Lange, parecchi autori ancora cercarono, infatti, di «vedere» l’arte egizia: raccolsero invero singoli documenti e proposero considerazioni particolari utili a tanto, ma procedendo da formulazioni teoriche non valide, in pratica da meri tentativi di evasione dalla dottrina del Winckelmann, per lo più incentrati su argomenti religiosi o psicologici, comunque estranei al problema che è di ordine estetico.
Non ci soffermeremo su tal produzione, poiché vastissima ed esulante dal presente lavoro, ed anche perché è continuata fino ai nostri giorni senza tener conto di alcuni contributi fondamentali usciti nel frattempo, che hanno toccato le radici del problema.
Il primo di tali contributi venne fornito da Gaston Maspero nel 1912: con un Essai sur l’art égyptien egli tracciò per la prima volta una storia dell'arte stessa, secondo i criteri già collaudati per le arti greca, romana, italiana e così via, e cioè considerandone i valori formali; confermò pertanto l'intuizione dello Champollion, e d’altra parte aperse strada a guadagni ulteriori della ricerca. Successivamente Hedwig Fechheimer, pubblicando a Berlino nel 1922 un volumetto intitolato Die Kleinplastik der Ägypter sottolineava la valenza artistica di un certo numero di statuette pur egizie ma naturalistiche. E pochi anni dopo, nel 1929, un critico d'arte, Gerhard Evers, additava nella struttura la ragione primaria della statuaria egizia classica in pietra.
Un ulteriore e decisivo contributo si ebbe infine per un saggio pubblicato nel 1942 da un egittologo specializzatosi negli studi sull’arte in parola,
Jean Capart.