denzio Ferrari, e — in caso di rifiuto — di far coprire con una vetrata il cortile per ricavarne una sola grandissima galleria di quasi mille metri quadrati, ove radunare tutte le opere d’arte moderna. Talvolta però il comitato del Museo si riuniva per meno gravi cure, e in occasione del « Disnè del Comitato Diretiv del Museo Civic » del 3 febbraio 1876 il consigliere Claudio Calandra, padre dello scultore Davide e del pittore-scrittore Edoardo, faceva stampare una sua poesia burlesca in dialetto piemontese, nella quale bonariamente accennava alla grama vita economica dell’istituto: «Intani sul stipendi dèi museo - Souma sicur di'1 ai casca nen tempesta: - Sfido ’l goern a manchene d’ galateo - Con Vartnua, la mobil e la resta »: quartina che anche oggi è di una certa attualità... Venne l’Esposizione Italiana dell’84 al Valentino con relativa mostra d’arte, e vi fu acquistato per 6000 lire il gigantesco quadro del ventiquattrenne Giacomo Grosso, La cella delle pazze, cui s’aggiunsero 1 '’Idillio di Pietro Morgari, la Quiete minacciata (7000 lire) del Petiti, la scultura Com'è fredda! del toscano Macca-gnani: altre occasioni mancate di buoni acquisti, a cominciare dal Bagno del Favretto. Finalmente, dopo aver persino progettato un trasferimento del Museo nel Castello del Valentino, il nuovo direttore Vittorio Avondo (durato in questa carica fino al 1910, anno della sua morte) il 15 gennaio 1891 proponeva al sindaco Voli che almeno la Galleria d’Arte Moderna, in attesa d’una radicale soluzione del problema del Museo, fosse collocata nell’edificio costruito per l’Esposizione dell’80, sull’allora corso Siccardi. Ampliatasi notevolmente la città anche in quella zona, si ritornava così ad un’idea che il consiglio comunale aveva parecchi anni innanzi respinto, lasciando sorgere una costruzione « provvisoria », e perciò difettosa. Ma per la prima volta si prospettava un netto distacco, in località differenti, della sezione antica e della sezione moderna del Museo: criterio che in Italia e altrove anche oggi necessità pratiche e disparità amministrative (proprietà statale, proprietà municipale, ecc.) per lo più impongono, ma che è . . e- criticamente errato. Come quasi sempre quando un ente pubblico si fa imprenditore di lavori, questi andarono per le lunghe. Iniziati nel 1893, soltanto il 20 febbraio 1895 eran terminati; e da questa data comincia la fase forse più interessante della storia della Galleria da un punto di vista museografico, in quanto — essendo ormai disponibili locali spaziosi e certo meglio illuminati dei precedenti — l’ordinamento delle opere poteva venir considerato con particolare attenzione; e nella seduta del 4 marzo 1895 esso fu vivacemente dibattuto, soprattutto fra 19