palestra di casi e quindi non piccole opportunità di crescita professionale. Pure sugli assistiti Lupano getta sprazzi di luce che inducono a ulteriori riflessioni: non tanto "poveri" tout court, ma piuttosto lavoratori salariati che non potevano permettersi nulla di più delle spese per la pura sopravvivenza, dalle quali era esclusa la salute. Nonostante tale drammatica realtà, permanevano elementi antichi di mentalità, che ancora oggi sono attuali; per esempio, la diffidenza degli assistiti verso la professionalità del medico di beneficenza gratuito, e la preferenza - appena possibile - per prestazioni a pagamento, ritenute di più elevata qualità; le frequenti richieste al medico di base per l'accesso gratuito agli ospedali, a prescindere dall'azione terapeutica a lui affidata; alcuni sporadici indizi di una maggiore presa di coscienza in termini di diritti anziché di carità, da parte degli assistiti. Sugli uni e sugli altri pesava come un macigno, allora come oggi, l'aspetto finanziario, con una gestione sempre più incerta via via che il servizio si dilatava, la fiducia cresceva e con essa la domanda, mentre la Compagnia di San Paolo era a sua volta nella condizione di non poter allargare troppo la cerchia degli utenti (presumibilmente circa 30.000 poveri su 120.000 abitanti di Torino) e soprattutto di contenere la spesa farmaceutica. Il bilancio complessivo dell'esperienza che trae Lupano è però tutt'altro che negativo, soprattutto se si considera il piano della modernità di tale gestione da parte della Compagnia, più nella direzione di un'odierna cassa mutua, erogatrice anche di assistenza integrativa e farmaceutica, che in quella delle semplici condotte comunali con le sole cure mediche di base. La valutazione muta se si guarda invece (a Torino, come a Milano e altrove) alla ancora perdurante insensibilità a coinvolgere i medici nelle decisioni di politica e di economia sanitaria, con un sovrappiù di sospetto tra amministratori e sanitari relativamente ai comportamenti e alla 9