zioni elevati ad un livello di civiltà la maggior parte, appartengono ad culturale, che definisce una "picun mondo passato che non potrà cola patria", anche senza il rapporto ricostituirsi con gli artifici dei musei dialettico con la " grande patria", e delle maggiolate. non chiusa, ma aperta agli influssi Al termine di questa breve carrellata esterni» (Giammarco). sulle più caratteristiche tradizioni « L'amore vè ridenne come l'aprile/ti culturali abruzzesi vogliamo fare una porte fiure e stizze . e te fa male./ ultima considerazione. Anche la cultura abruzzese, come tutta quella L'amore è gné nu giovene gentile/che meridionale in genere, presenta alje piace a fa' 'neo re lu quatrale (bamcuni caratteri di crisi, sconvolta dai bino)./Vole la canzone e vole/nisciune sa lu bbene che vojje a sta guajjò ... » grandi fenomeni economici e sociali sono i versi di un canto d'amore da di questi anni, l'emigrazione, i mezzi di comunicazione di massa, l'indunoi ascoltato fino a qualche anno fa a Roccascalegna (Chieti), in cui strializzazione e il consumismo, ed ed anch'essa si dibatte fra vecchio e l'amore, con una immagine vaganuovo, tra il peso e la conservamente stilnovista, viene paragonato zione dei vecchi sistemi di valori e al mese di aprile che arriva ridendo e portando nel cuore dei giovanetti l'esistenza di forme di vità più rispondenti alle necessità moderne; sicché, dolcezze e crucci. Purtroppo diventano sempre più rari i casi in cui è ancora possibile registrarne: certo, c'è l'opera encomiabile dei cori folcloristici e delle « maggiolate » che tentano di tenere in vita queste canzoni, la passioI).e di gruppi di giovani che ricercano con entusiasmo presso i più anziani le ultime testimonianze di questo patrimonio lirico popolare, ma sono cambiate le condizioni umane e sociali che erano alla base di queste invenzioni e creazioni, e la lodevole attività di conservazione ha il valore di una immobile « impagliatura» da museo. Riportiamo un esempio di canto d'amore dalla raccolta del Finamore del 1876 recentemente ristampata: « Tu tjiene le bbellezze de sand'Anne;/L'uocchie lucjiende de sanda Lucije./E 'mbracce t'à tenute san Giuvanne./La Matalaène ti dunò le trécce,/E tt' à dunate fasciatur'e ffasce,/E ha prehate Ddi' pe' ffarte crésce'./Ji' de salute te ne manne nove: Tré ggijje, tré ccarofen' e ttré vvijole» (Sulmona). Il discorso ci porterebbe assai lontano se esaminassimo anche i canti del lavoro e sul lavoro, soprattutto quelli scaturenti dalla vita l~ei campi dove oggi non si canta 'più, c'è silenzio, o meglio « cantano i motori », come ci diceva un a.nziano '" contadino; le incanate o car~lle, quei canti « arrabbiati» con cui i braccianti durante la mietitura si rivolgevano con frasi oscene e allusioni erotiche a quanti passavano vicino al campo di grano o tra di loro, in un dialogo a botta e risposta; le ninna-nanne, i dispetti e gli stornelli, i canti narrativi: per tutti valgono le considerazioni che facevamo per i canti d'amore, cioè che difficile è poter dire quanto è vivo e quanto è morto di questo mondo tradizionale, persistendo larghe fasce di isolamento e di emarginazione, soprattutto nelle zone di montagna, ma anche forti sintomi di recupero della cultura di origine da parte di emigrati che ritornano e che pure sembravano porsi su una prospettiva di integrazione con culture diverse. Perciò questa breve rassegna delle tradizioni culturali, ripercorse a volo d'uccello, vuole avere solo la modesta pretesa di indicare alcuni temi di riflessione sul significato che questi « relitti folclorici» possono avere per capire, con il passato, anche le contraddizioni e le ambiguità presenti nella vita attuale della regione.