Tavola XXXIII Riccio di pastorale Casale Monferrato, Duomo Casale è ancora ricchissima di argenterie barocche, soprattutto sacre. Per persuadersene basti scorrere l’elenco fittissimo steso da N. Gabrielli (1935), che pure volle descrivere « fra i moltissimi oggetti di oreficeria sei e settecentesca » soltanto i più notevoli. Sono ricordate, in Duomo, una pisside « di forma elegantissima » ; il calice donato dal vescovo Pietro Radicati e l’altro calice, dono del vescovo Uberto Radicati; due bastoni pastorali, uno dei quali alle armi del vescovo Caravadossi; un’anfora d’argento con bacile, di raffinata semplicità; un « leggio di ebano con incrostazione d’argento » ; nonché l’urna di S. Evasio, eseguita a Milano. Altri lavori d’argento e d’oreficeria sono in S. Domenico, al Gesù, alla Trinità; un bellissimo gruppo d’argenti è a S. Uario. S. Filippo conserva, tra l’altro, due croci stazionali, una statua del Santo « lavorata a cesello d’argento massiccio », un reliquiario d’argento che è l’unico superstite dei molti arredi donati alla chiesa da Massimiliano di Baviera. A. S. Stefano è il bel busto reliquiario del Santo: e si potrebbe continuare a citare. Qualcuno di questi argenti venne da fuori: forse dalla Germania il reliquiario di S. Filippo, dono di Massimiliano di Baviera; forse da Torino l’anfora e il bacile del Duomo, di una sobrietà a Casale inconsueta (A. Bargoni, Argenti n. IX in Catalogo, 1963). La maggior parte però sembra di fattura locale, se non altro per le concordanze di gusto con le altre espressioni d’arte « minore », nelle quali si sbizzarriva la fantasia dei decoratori casalesi settecenteschi. E’ una fioritura abbondante, travolgente; gli stucchi rallegrano d’inesauribili invenzioni le sale di Palazzo Treville, di Palazzo Sannazzaro, della casa di Anna d’Alençon, del Palazzo Ardizzone. Altri stucchi compongono estrose incorniciature sulle facciate di palazzi, di case e di chiese: valga, per tutte, quella spiritosissima di S. Caterina. I ferri battuti intrecciano in cancelli, in roste, in balconcini, leggiadri arabeschi, così simili a quelli che mani pazienti ricamano in oro ed argento, in sete e lustrini sulle pianete del Duomo. Gli intagli si accumulano sui confessionali e vi ergono tronfie ramificazioni; o, viceversa, alleggeriscono ante d’enormi armadi e di massicci portoni fino a farne dimenticare la consistenza reale. Un furore barocchetto, perfettamente orchestrato con le architetture dello Scapitta e con la pittura del Guala, che par voler mutare il volto stesso di Casale: capitale decaduta, ma ancora capace di tener testa alla nuova capitale, a Torino. Gli umori, forse, sono provinciali ma appunto per questo non imbrigliati da troppe preoccupazioni di buon gusto e di eleganza, sì che l’arguzia ne riesce più esuberante e gustosa. Perchè gli argenti non avrebbero dovuto anch’essi rispecchiare questa vicenda? Ed ecco, ad affermativa risposta, questo riccio di pastorale. Le spighe, le rose, i tralci, tutta l’emblematica mistica ed eucaristica, eccola servire per un divertimento di alta qualità. I grappoli rigonfi ciondolano; le spighe si inerpicano, fiori e fronde si attorcono, Santi si affacciano, cherubini ammiccano. I riccioli delle loro testoline non si differenziano quasi dai velli ondulati dell’arcadico Agnus Dei: tutto è soffice spumeggiante capriccio, composto nell’accorto disordine della più pure rocaille; siamo del resto nella « prima metà del XVIII secolo » (A. Bargoni, op. cit. n. 214). L’effetto finale è leggero, profano; alla destinazione liturgica si concede soltanto una iscrizione (« Tu asce: nos tuere ») e, beninteso, la forma rituale. 184