Ercolano e Pompei sono due capitoli che bisognerebbe ristudiare quali dialettiche alternanze di neoclassicismi contrastanti a quel neoclassicismo cui sfociò il rinascimento grecoromano e vitruviano, leggibile quale evoluzione perfezionatrice in accezione vasariana. Esiste una contestazione neoclassicista entro il neoclassicismo stesso. Basti confrontare il gusto per il massiccio dorismo ed il gusto per la snellezza dei ritti architettonici di grazia alessandrina, desunta dai bronzi e dalle grottesche d'Ercolano e di Pompei.
Gli scavi d'Ercolano e di Pompei, tuttavia, costituirono catene di miliari per le polemiche estetiche. Tappe nel tempo, le quali non possono venire numericamente ridotte a quelle due o quattro date traenti in inganno la storiografia scolastica e semplificatrice dei fenomeni del gusto.
L'eccessiva riduzione semplificatrice generò equivoci; per cui la cronologia delle campagne di scavo archeologico più note è sfasata rispetto alla cronologia delle fermentazioni più feconde del gusto.
E pure altri pasticci generarono le circonfusioni di venustà settecentesca, nel rilevamento e nella riproduzione (vedi i rami Antichità di Ercolano). Difficile è cambiare mani, tecniche e tavolozze; forse anche disagevole è mutare occhi. Infatti si sa che sbagliò, perché non ancora visivamente addestrato, lo stesso grande Winckelmann: egli utilizzò nel suo libro sulla storia dell'arte (1761) alcune « ercolanerie » fabbricate d'inventiva pura da Mengs ed allievi!
Dall'epoca di Raffaello Mengs a quella di I. L. David, cioè quasi tre quarti di secolo, lo spirito animatore delle decorazioni ercolaniane, etrusche e pompeiane mostra due aspetti interiori divergenti: la fedeltà quasi filologica al disegno generale compositivo ed alla tecnica pratica realizzativa oppure quella più deliziante infedeltà che innesca l'invenzione nuova nel solco d'un processo evolutivo.
Del primo tipo, «fedele» come aderente ai modi riscontrabili oggettivamente e filologicamente già visti nell'ambientino egizio (Vili, 2; fig. 7), esiste al castello di Masino un'altra piccola anticamera all'opposta estremità di quello stesso alloggio ottocentesco del primo piano (Vili, 2; fig. 8). Nel centro di pannelli neri primeggianti nello scarno quadraturismo anti-quariale, si muovono, come librate in volo, delle danzatrici classiche: vestono d'azzurro e celeste ed agitano nastri candidi. Il freschista sentiva potentemente gli aspetti paralleli tra Etruria ed Egitto.
Del secondo tipo, « infedele » tanto da reinserire suggerimenti pompeiani nel processo evolutivo dell'ornamentazione rococò ancora sopravvivente oltre Winckelmann, come un'onda in una sequela di oscillazioni marine lungi dalle spiagge, stanno con evidenza coloristica alcune deliziose cariatidi non immemori del bozzettismo umoristico veneziano, ancora manieristico e barocco, d'una sala al pianterreno di Masino (Vili, 2; fig. 9). Trattasi del salotto delle tre finestre che dà accesso alla sala del bigliardo (VI, 4; fig. 13), ricavata incamerando il portico verso cortile.
In questo salotto « primo Ottocento » appaiono veramente sconcertanti gli accostamenti di spigliate egizianerie e pompeianerie e motivi Luigi XVI rielaborati nella pignola vena decorativa alla Bonzanigo. Lo spirito sbarazzino del pittore (che è presente in altre sale con bustini su mensole a fare da sovrapporte) è all'opposto della precisione professionale del minusiere non impari agli incisori di pietre dure (e lo scultore in legno si sentiva più di casa in una residenza stipata di mobili d'indicibile raffinatezza).
Altresì mette conto insistere sulla caratteristica atmosfera che invita alla minuzia bonzani-ghiana. Qui tutto ciò che arieggia ai cammei ed ai « trompe-l'ccil» scherzosi s'amalgama bene con quei lavori in pasticca di riso di cui si considerò il carattere di novità in tempi d'innovazioni chimiche per l'utilizzazione raffinata di materiali locali a poco prezzo, quali le argille per le porcellane di Vische e per le terraglie di Castellamonte (VI, 6). Lo stesso concetto di intonazione ad una cultura provinciale che modernamente ha timbri sublimi può approfondirsi strutturalisticamente nel castello di Vizille in Savoia ove dame francesi, clandestinamente sottraendosi alle persecuzioni repubblicane, s'industriavano a perfezionare tale genere di mobilio ornato con impasti di polvere di riso.
Dovendo essere costretti a datare e classificare siffatte ambientazioni, le date giustificherebbero una manualistica classificazione «stile impero»?
Davvero, no! Nient'affatto, perché qui aleggia ancora un'ideale beltà settecentesca che circonfonde ogni allusione linguistica al reperto archeologico. Nient'affatto, dunque, giacché quella anzidetta imprecisione della precisione presunta scientifica, suddividente la storia dell'arte in gradoni d'annate bene demarcate e fisionomie stilistiche nette, è un grrosso equivoco dell'arte maggiore, la quale ufficialmente entra non solo nella manualistica ma anche nella bibliografia destinata al mondo universitario.
Viceversa l'arte minore, il linguaggio che arride alle cose minime e cosiddette provinciali, non è mai da trascurarsi anche se ci s'impone la sinteticità e la purezza dei principali lineamenti
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