è applicata tanto sulla fiancata della navata (II, 6; fig. 4) quanto sul campanile di facciata (II, 6; fig. 18); ma solamente all'ultimo piano, quello della cella campanaria, giacché i tre piani sottostanti seguono la regola ternaria, tre più tre. Un ripensamento formale oppure un declassamento entro la gerarchia ecclesiale? Il vico o pago di Lugnacco aveva antiche tradizioni e la relativa chiesa sarebbe dell'xi secolo (II, 3); ed il poggio sopraelevato avrebbe già avuto carattere di luogo di culto pagano.
Binaria è la chiave metrica del campanile di Sessano (II, 6; fig. 19) del quale s'è già parlato per la posizione in facciata (II, 2). Non differisce dai tanti campaniletti di sedi rurali, come a San Maurizio e a Santa Maria di Spinariano presso Ciriè.
Pure binaria è la ornamentazione della bizzarra cella campanaria di Settimo Vittone (II, 6; fig. 15) già considerata quale rimodellazione di opera più vecchia (II, 2). Binario è il campani-letto di San Ulderico nell'interno borgo di Ivrea, riscoperto scrostando una facciata rimodellata nel Cinquecento e nel Settecento (II, 4; fig. 20).
La chiave metrica binaria introduce un discorso compositivo complesso ad Andrate, perché la base è ritmata 1 + 2a + 1 + 2a + 1 e la sommità 2I + 4a -f- 2I (quantunque il penultimo piano sia inspiegabilmente schematizzabile 2I + 5a fi- 2I nonostante che vi si apra una trifora con colonnine e capitello a stampella come al piano superiore). È certamente un esempio di architettura seducente come un canto gregoriano: dignità e pulizia formale (II, 6; fig. 28). Sonorità capace di estendersi sino ai confini dell'orizzonte!
I	quattro archetti di cornicione della cella campanaria del «Gesiòn» (II, 2) stupiscono perché escono dalla regola di avvalersi delle sequenze degli archetti pensili entro gli sfondati tra le lesene angolari. Tutto il perimetro sotto la guglia è festonato (II, 4; fig. 8). Con siffatto disegno si fa vera festa anche quando tacciono le campane.
Un gioco metrico ternario s'è visto timidamente abbozzato a Lugnacco. Ma sul numero tre, sistematicamente usato dalla base alla cima, è al cimitero di Favria (II, 6; fig. 26) e compositamente alla Cella Grande presso Piverone (II, 6; fig. 17). Tre era il fattore ritmico del campanile di San Benigno di Digione.
Come mai a Sessano ed a Cella i campanili giocano due e le pareti piane o curve degli edifici (II, 6; figg. 7 e 8) giocano quattro o cinque? Forse sotto l'edera di San Pietro in Pessano di Bollengo sta il medesimo interrogativo.
A Magnano San Secondo, invece, l'abside grande punta sul numero quattro ripetuto e l'abside piccola sul numero tre (II, 6; fig. 6). V'è questione di date differenti d'edificazione. Potrebbero dircelo i virulenti restauratori che recentemente vi hanno messo mano.
Bollengo San Martino (II, 6; fig. 25), Cintano (II, 6; fig. 27), Favria paese (II, 6; fig. 23), Vistrorio (II, 6; fig. 22) e Valperga San Giorgio (II, 6; fig. 24) stanno al gioco musicale con la serialità quattro. Il numero quattro se utilizzato alla base in ritmo d'accoppiamento porterebbe in cima a otto archetti. Ad otto sono i motivi di Magnano. Il numero sei è presente a Gallenca; il sette è a Montanaro (II, 6; fig. 40), dai piedi alla testa.
II	celebre campanile eporediese di Santo Stefano (II, 6; fig. 33) partiva dalla base conquistando i vari ripiani col ritmo 2I + 4a + 1 + 4a fi- 2I per terminare al penultimo con 2I + + 8a + 2I ed all'ultimo con 2I -(- ioa -f 2I, ritmi a frequenza variata sensibilmente. Perché? Eppure le trifore dei due piani erano eguali e le cronache non dicono che dopo l'anno 1040, di cui si parlerà (li, 7), siano state effettuate sopraelevazioni.
Il rudere, in assenza di documenti notarili e cronache, ci ricorda un travaglio di membra cospicuo (II, 6; fig. 32). Si ricordi ch'era un campanile abbaziale, nella più pura tradizione di Guglielmo da Volpiano e di Bruningo. La sua volumetria e la sua organizzazione ornamentale vanno confrontate con quelle dei due campanili nella « città » alta. In basso la struttura delle parrocchie del popolo ecclesiale, in sommità le due strutture del potere, quella episcopale e quella canonicale; di più alto rango tutt'e tre. Comunque in queste operazioni di confronto non si deve omettere d'esaminare la quarta mole guglielmina, quella fondamentale di San Benigno di Fruttuaria, ch'è come un assemblaggio di quattro prismi di mole della dimensione delle tre predette torri campanarie, accostati e fusi a formare un unico fusto.
Guglielmo da Volpiano, appoggiato da un re d'Italia, conferiva al fratello, cui era destinata l'abbazia, il massimo risalto. Massima dignità al cenobio dei conti di Volpiano. Il fusto simbolicamente modellato con tanti rami e tante fronde, quasi fosse una monumentale scultura da valere quale massimo segnaletico miliario sulle strade di transito internazionale, da Roma a Digione (ov'era la sua personale abbazia) ed a Cluny, ch'era la grande capitale dell'universo monastico nel mondo intero.
Il diadema di Fruttuaria è graduato 3I + 7a -f 1 -)- 721 + 3I; quasi 21 moduli. I due diademi dell'Episcopo e del Capitolo dei Canonici eporediesi sono graduati ognuno (2I + 7 + 2I), 14 moduli, pari al diadema con 14 moduli di Santo Stefano sede di « Socie tas» esclusivamente spirituale (II, 7), ma territorialmente limitata quasi solo all'abitato di Ivrea perché coordinata
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