Strinse ancora legami familiari con i Borromeo, tra i più potenti oppositori degli Sforza, dando in moglie al conte Filippo la propria figlia Apollonia.
   Morì infine a Milano il 5 gennaio 1504, all’età di circa cinquantanni, senza che l’avvenuto cambiamento di regime avesse scosso il suo potere ed intaccato l’immenso patrimonio accumulato.
   Il suo ultimo testamento, rogato dal notaio Antonio da Zunico il 24 ottobre 1503 in Milano, registra una quantità di legati e donazioni di principesca larghezza come ben osservò il De Rossi, lo storico settecentesco della famiglia.
   La moglie, Daria Botta Pusterla, gentildonna celebre per qualità di intelligenza e bellezza, ebbe la tutela dei figli minori e resse la famiglia dimostrando acuto intuito politico. Continuò infatti nell’amichevole alleanza con i francesi ed in questo quadro ospitò nel 1515 Luigi XII nella propria casa, ma, l’anno seguente, fu tra coloro che sollecitarono l’intervento imperiale e la restaurazione.
   Unica donna tra nobili e notabili milanesi fu quindi obbligata a prendere la via della Francia per ribadire l’obbedienza al re.
   Nella stretta cerchia dei favoriti del Moro Bergonzo ebbe dimestichezza con gli artisti ed i letterati che Ludovico aveva raccolto alla sua corte.
   Un appunto autografo di Leonardo nel Codice L, che si riferisce ad evidenza ai giorni della caduta degli Sforza, ne sottolinea ancora, implicitamente, il ruolo sulla scena politica (cfr. Appendice).
   L’annotazione, stesa probabilmente a posteriori, non risulta di immediata utilità se non al fine di testimoniare la conoscenza diretta tra l’artista ed il cortigiano, mentre ben altro peso assumono i riferimenti al Botta in componimenti letterari di contemporanei.
   Il sonetto di Bramante, ventunesimo dell’edizione Bel-trami, si ricollega, all’interno della raccolta, ad altre rime che svolgono il tema giocoso della povertà dell’artista e dell’esosità dei potenti (cfr. Appendice).
[39]   Sotto: planimetria della corte e del palazzo alla quota del piano terra. In nero le strutture quattrocentesche, profilate le aggiunte posteriori.
   Nel testo, che si svolge come dialogo tra l’artista ed uno sconosciuto interlocutore, Bramante lamenta le ri-strettezze economiche che lo affliggono come stipendiato di una pur splendida corte. Nell’incalzare del contrasto che oppone le affermazioni prima supplichevoli poi sempre più ferme di Bramante — il quale sostiene la propria povertà e la scarsa remuneratività della condizione di cortigiano — all’incredulità crescente del suo interlocutore quest’ultimo domanda:
   —   E il tuo Bergonzio e Marchesin che fanno?
   Non hai tu il lor favor?
   Bramante risponde:
   —   Deh stiansi cheti,
   Tutti siam sordi ove monete vanno.
   Non stupisce di ritrovare accostati Marchesino Stanga ed il Botta anche nel testo letterario dove evidentemente si riversa con palese intento di satira la registrazione di una realtà di fatto.
   I più frequenti e complessi rapporti emergono tuttavia dalle Rime di Bernardo Bellincioni (cfr. Appendice).
   All’interno della raccolta ben sei sonetti fanno diretto riferimento al Botta. Il loro tono è assai vario, dal componimento poetico di circostanza, finalizzato alla lode cor-
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