D E L L A P E R E E T T A me è gran biafimo il non faperlo. Così diceva Cicerone della Lingua Latina- Non tam praclarum eft /ciré Latine , quam turpe ne/cire . L obbligazione, che tutti hanno di ben fapere la loro Lingua, diramuifce in parte il merito del faperla . Sembra nondimeno , che a’ noftri giorni non debba riputarli poco pregio fra gl’ Italiani quella conofcenza , da che nel fecolo proffìmo paffato non pochi furono coloro , che la trafeurarono , e oggidì ancora non pochi fanno lo fteffo . E quella medefirna ragione fece pur dire al mentovato Cicerone, che nel fuo tempo il ben parlar Latino era molto da commendarfi . Jp/um Latine loqui efì in magna laude ponendum , fed non tam fua /ponte, quam quod eft a plerifque neglettavi . Per gloria dunque , ma più per obbligazione han da coltivare i Poeti , o per dir meglio ogni Scrittore Italiano, lo (ìndio delia Lingua noftra. E certamente non è egli gran viltà , che taluno fi metta a fcrivere nel proprio fuo Linguaggio fenza faperlo ? Quando quello bel pregio manchi a i noftri Verfi, anzi ad ogni Profa, nè quelli , nè quella faranno giammai riputati perfetti. Imperciocché io ben concedo, che per cagione della materia , e del maificcio delle cofe , non per la coltura delle Lingue gli Scrittori divengono gloriofi . Soleva ancor dire il Card. Sforza Pallavicino : cZ>’ egli non faceva gran conto del Linguaggio o barbaro , o nobile , o /corretto , o /orbito ; poiché quando anche Ariftotele aveffe Jcritto in Lingua Bergama/ca, egli meriterebbe d’ej/er piu letto, c$e qualunque altro, che aveffe Jcritto con piu riguardevole , e pulita favella : Ma fi vuol’ancora concedere, che molto minor merito ha chiunque fidamente fa diffondere in carta un perfetto ragionamento , che non ha chi eziandio fa {fenderlo con Linguaggio corretto , e nobile . Nè lo ftelfo Ariftotele , fe in Lingua Bergamalca avelie dettato i fuoi libri , farebbe letto con tanta cura dagli uomini in quello Idioma, quando i medefimi fuoi fentimenti , e Libri fi potefiero leggere in altra Lingua più nobile, e pulita, nè sì rozza, come quella di Bergamo. Altro dunque non intefe il Pallavicino, fe non che principalmente fi dee ftimare il valor della materia lcritta . Ma non negò egli , che non crefeeffe il pregio della detta materia , fe quella ancora fi trattalfe con purgata , elegante , ed eccellente favella . E che quello folle il fuo fenti-mento , io molfrò col proprio efempio , avendo , come ognun fa , fcritto con affai leggiadria, e offervazion della Lìngua Italiana 1’ Opere fue volgari . Sicché fa bensì di meftiere agli Scrittori lo (Indiare il maificcio delle cofe , ma però fenza trafeurar f ornamento efterior della Lingua . Non può dirli , quanta nobiltà , e vaghezza ricevano le materie dal buon’ nfo delle parole , e delle frali. Quello folo fa talvolta avvenenti , leggiadri, e preziofi i verfi , come fi pare in alcuni del Petrarca , i quali non dal fenfo, ma dalle gentiliffìme fue locuzioni riconofcono la lor bellezza. Per lo contrario, mancando il condimento della Lingua, molto men piacciono a chi ha buon Gufto i verfi, tuttoché ingegnofi, e con buona vena componi . Gran faftidio altresì pruovano gl Intendenti faggi, allorché prendono a leggere qualche dotto componimento , fe fi avvengono tratto tratto