D E L D OM I N I O DI C Ö M A C C H I O. n Vanni Vili, aveffe 1’ autorità di dare la Contea , o il Ducato di Co-macchio da governare ad alcuno : quindi non fegue già, eh’ egli, e non ¡’Imperadore , foffe il Sovrano Padrone di quella Città . Ballava ch’egli foffe folamente Efarco , e Vicario dell’Imperadore , per poter mandare dei Governadori, e Rettori nelle Città alla cura di lui coni* meffe . Gl’Imperadori sì per ragione della loro lontananza , sì per onorare maggiormente anche in tal guifa la Sede di S. Pietro , onorata da Criifo con tanti privilegj , concedevano a i Sommi Pontefici il governo temporale, e la cura de’loro Stati in Italia.'Lo fìeffo Giovanni Vili, fcrive ad Antonio Vefcovo , e al fuddetto Berengario * che Carlomanno aveva a lui data la cura del Regno d’Italia : Carolomannus gloriofus’ Rex fuis régalibus literir , <& miffòrum noflrorum verbo , noftra Prajulatui pio mentis affebfot cummifit , ut nos curanr bujus Italici Regni labere-mus . E nella Lettera 282. fcrive , che non era meno di Carlo Calvo Imperadore il Regno , ove era detenuta Angelberga Augufta » che iì folle il Regno di Roma : ìdam ficut illud Regnum , in quo nUriff illa fub cuftodia manet , Fjus eft ,pta Ö* iftud . E Carlo il Groffo, Imperadore dopo il Calvo, anch’egli iacea da Sovrano nell’Efarcato , come fi legge nella. Lettera 277. del medefimo Giovanni Vili. Oltre a ciò fi offervi , come nella Lettera di. a Lamberto attefìa ; che i Romani Fzdelitatem .Augufialem ¿F ménte cuftodiunt , ¿7 opere Deo adju^ vantò perficiunt . Leggali il redo » e fi notino l’Epitì. 30. la 217. la 232. la 269. e fpezialmente la 319. e più d’effa anche la 293. ove fi feorgerà 9 che Giovanni Vili, cercava recipere juftitias coram Legato Im* peratoris in Pentapoli , ¿F in urbe Fano . Io non la finirei giammai, fe voleffi rapportare tutto . Ma non poffo tacere, che non è. già indizio di Sovranità l’aver potuto mettere dei Duci, e Conti a governare le Città appoggiate alla cura del Romano Pontefice. Ciò fidamente veniva da un’autorità Vicariale ; maffimamente fe e vero, che altro non foffero in que tempi le Contee 4 i Marchefati, e Ducati 9 eie prefetture* ed uficj temporanei , come fcrive cotefìo Autore alla pag. 38. Ora que* fio fi pruova chiaro dalla Cofìitnzione pubblicata in Roma l’Anno 824. da Lotario Imperadore , che è riferita dal Cardinale Deusdedit , dal Baronio j dall’Óiftenio , e da altri, e ultimamente dal Pagi (a). Ivi fi leggono quefìe parole : Volum us etiam ; ut Miffi eonfiituantur a Dom no udpoftoltco , ¿F a NOBIS1 , qui annuatìm NOBIò' renuncient -, qual iter fin-gulì Duces , Ö* fiudìces- juftitiatn populo faciant , & quomodo NOSTRjf Confiituti0 fervetur . Decernimus itaque, ut primum amnes cTamores , qui negligentia Ducum , aut fiudicum fuerint, ad notiti am, Domnì gipofiolici referantur, ut fiatim aut ipfe per fuos nuncios ecfdem.. emendare' faciat, auf NOBIS notificete ut Legat ione a NOBIS diretta emenderei ur .Più di lotto fi leggono qnefte altre : Placuit etiam Nobis , Utcuntti Düces , <0* fiudices , five ali/ , qui ccetetts prceefiè debent , in NOSTRALI prcéfen-tiam , (fi Ctit, Barop, ad Ans. 824., §. je