Questo tasso di crescita, anche se parzialmente spiegato da una diminuzione della produzione del settore agricolo per avverse condizioni climatiche, è stato anche quest’anno insoddisfacente, perché, nonostante la fase di recupero manifestatasi negli ultimi mesi, non ha ancora assunto quel livello che le capacità e le risorse esistenti nel sistema economico potrebbero certamente consentire. Infatti il grado di utilizzazione degli impianti è rimasto nel 1972 assai basso per le aziende produttrici di beni di investimento, mentre soltanto verso la fine dell’anno ha incominciato a segnare apprezzabili miglioramenti nel settore delle materie ausiliarie e dei beni di consumo.
I riflessi negativi di questa situazione si sono fatti sentire anche sull’andamento dell’occupazione, con un’ulteriore sensibile perdita di posti di lavoro nell’indu-stria, mentre l’espansione dell’occupazione nel settore dei servizi non è riuscita a riassorbire interamente l’ulteriore forte decremento di occupazione verifica-tosi nel settore agricolo. Per un giudizio più realistico sull’argomento occorrerebbe peraltro considerare che in Italia i tassi di attività sono ulteriormente discesi, raggiungendo livelli tali da giustificare l’ipotesi che essi celino anche reali e preoccupanti fenomeni di crescente « inoccupazione ».
Desta tuttora fortissima preoccupazione il processo inflazionistico che continua a prodursi in Italia in presenza di una incerta dinamica della domanda. L’entità di questo fenomeno appare insufficientemente rappresentata dai tassi di aumento medio dei prezzi verificatisi dal 1971 al 1972, perché gli aumenti si sono addensati soprattutto negli ultimi mesi dell’anno: dal dicembre 1971 al dicembre 1972 l’aumento dei prezzi al consumo è stato del 7,4%. In conseguenza il 1972 è stato anche l’anno in cui si è avuto il più alto numero di scatti di contingenza (13 punti).
Le tensioni sui prezzi al consumo sono state indotte in parte dalla componente agricola, in parte dagli aumenti dei costi dei fattori e dei prodotti d’importazione, ed in parte da fenomeni connessi alla fase di sostituzione dell’IGE con l’IVA. Sostituzione che non potrà non pesare nel 1973 a sfavore delle nostre esportazioni, anche se questo fenomeno potrà risultare in parte compensato (ma solo per le imprese prevalentemente esportatrici in aree diverse dal dollaro) dalla svalutazione della lira nei confronti delle monete forti, conseguente alla decisione di libera fluttuazione. Alla luce di questi fatti, pare indubbio che il mancato riagganciamento della lira al « serpente » comunitario non deriva da una mancanza di lealtà comunitaria, bensì dalla necessità di un realistico riconoscimento della progressiva divergenza dell’andamento dell’economia italiana nei confronti di quella degli altri partners europei.
Questa divergenza nasce certo dal persistere di problemi strutturali irrisolti della nostra economia, che richiederebbe fra l’altro una ben più incisiva politica « regionale » della Comunità Economica Europea, ma deriva anche dal disordine delle nostre finanze pubbliche, dalle insufficienze del nostro apparato statale, dallo squilibrio che si è verificato negli ultimi anni nei conti economici delle imprese, e dalle incertezze di un quadro politico caratterizzato da recrudescenze di tensioni e conflitti sociali in concomitanza con un continuo dilazionamento dell’avvio di indispensabili riforme.