istituzioni, è di per sé un fatto nuovo, purtroppo non * diffuso. La presenza di un Piano; la conoscenza del suo grado di realizzazione consentono un confronto ed una iniziativa del momento, pubblico altrimenti difficile se non impossibile. Che dire però quando si rileva che sono passati circa cinque anni e non è stato presentato alcun documento, annuale o triennale, sul 2° Piano regionale che ha cessato la sua vigenza nel 1987 (già due volte prorogato) e tanto meno siamo in presenza di una proposta per il 3° Piano? Relativamente al periodo sopra richiamato, si è verificata la possibilità di dare più efficienza alla macchina amministrativa regionale, di liberarla da funzioni di gestione, concentrando l'attenzione sui momenti del coordinamento e della programmazione. Si è dimostrata la possibilità di avere un nuovo rapporto con le Ussl, partecipi di un processo decisionale che ha responsabilizzato anche loro sul terreno della programmazione ed ha teso alla semplificazione delle procedure ed alla creazione di una chiara condizione di diritto. Si è dimostrato possibile coinvolgere il personale dell'Assessorato in una attività di studio e di ricerca, interessando i responsabili alla dimensione nazionale dei problemi, facendoli partecipare alle riunioni ed al processo decisionale, stimolando tutti ad una presenza sul territorio per un «bagno di concretezza», ma più ancora per sentire la pressione di chi vuole siano risolti in fretta i problemi quotidiani all'interno di un corretto quadro di riferimento locale e regionale. I problemi della sanità e della assistenza hanno avuto una evoluzione particolare in relazione al dibattito avviatosi nel paese, conseguente alla drammatica situazione in cui erano venute a trovarsi le mutue e gli ospedali. La legge di riforma sanitaria 833/1978 era stato il punto di approdo di un processo che in Piemonte aveva avuto una anticipazione con l'avvio degli studi per il piano regionale socio-sanitario e prima ancora con l'adozione di alcuni provvedimenti di settore e leggi regionali finalizzati alla estensione e/o organizzazione dei servizi: quali la legge 41/76 (definizione degli ambiti territoriali delle unità locali dei servizi) e la legge 39/79 (riorganizzazione e gestione dei servizi sanitario e socio- assistenziali). n salto di qualità si è avuto con la deliberazione della giunta regionale del luglio '78 «Approvazione degli elementi di indirizzo per il piano socio-sanitari e dei principi di riordino dei servizi sanitari e socio-assistenziali nella regione Piemonte». Essa era il risultato anche della larga mobilitazione che vi era stata tra l'opinione pubblica, promossa dalle forze politiche e dalle organizzazioni sindacali che hanno largamente e positivamente influito anche sulla futura legge di riforma (L.833). Si sentivano gli effetti, a livello della società, del rifiuto da parte dei lavoratori delle paghe di posto e della monetizzazione della salute; si era fatta strada una nuova e più corretta esigenza di rimozione delle cause, anche attraverso la creazione delle «mappe a rischio», elaborate con un ampio coinvolgimento dei lavoratori interessati, visti anche nella loro individualità. Non a caso era sorto il concetto della «validazione consensuale». Era cresciuta una nuova metodologia di approccio ai problemi della salute: una informazione puntuale, sia della parte ambientale che della parte sanitaria, formalizzando l'analisi dei quattro gruppi di fattori rischio, attraverso il questionario di gruppo omogeneo, per passare alla relazione d'igiene ambientale, ai risultati delle indagini ambientali e al registro dei dati ambientali, infine ai protocolli di rischio, ai questionari individuali ed al prodotto finale: il registro dei dati biostatistici e il libretto sanitario individuale di rischio. 11 questionario individuale doveva contenere almeno tutte le informazioni utili al medico di base per la normale anamnesi. Su questa metodologia erano state compiute sperimentazioni in numerose fabbriche e posti vari di lavoro e molti enti locali avevano raccolto l'invito a sperimentare libretti sanitari individuali. Il cosiddetto «modello operaio» per la tutela della salute in ambiente di lavoro, che poneva con forza il quesito del come produrre, logicamente si è evoluto, affrontando altri essenziali quesiti: quando, dove, per chi, che cosa produrre? Non è questa la sede per approfondire queste problematiche, ma preme ugualmente sottolineare che a questo ceppo originale di elaborazione fanno oggettivamente riferimento le successive posizioni che guardano all'ambiente esterno al posto di lavoro e quelle altre più recenti che affrontano il rapporto ambiente, tecnologie e sviluppo. In questo contesto, comprendiamo meglio le pregiudiziali e le sistematiche disapplicazioni della riforma sanitaria, particolarmente per quanto riguarda l'ambiente di lavoro che è stato l'anello trainante per la crescita di un nuovo modo di intendere i problemi della salute. Questo processo si era largamente riflesso nella attività del gruppo di lavoro che aveva elaborato gli elementi di indirizzo approvati dalla giunta regionale. Sulla base di questi principi e della successiva approvazione da parte del Parlamento, nel dicembre 1978, della legge 833, primo quadro di riferimento in attesa del piano nazionale, si sono avviati gli studi che hanno portato alla presentazione della «Proposta di piano socio-sanitario della regione Piemonte per il triennio 1980-82», formalmente approvata dalla giunta nel febbraio 1980. Il Consìglio regionale, con ordine del giorno del 17 aprile 1980 e con propria deliberazione, decideva di usare la proposta di piano presentata «come primo, provvisorio elemento orientativo per i programmi di avvio delle Unità sanitarie locali, mentre procederà la consultazione». Con l'avvio della terza legislatura, dopo un ampio dibattito svoltosi in Consiglio nell'ottobre 1980 sulle linee programmatiche della Regione nel settore socio- sanitario (la proposta di Piano) e di una «Proposta di relazione sullo stato di salute della popolazione in Piemonte» ', il Consiglio ha aperto le consultazioni degli enti locali e delle organizzazioni interessate sulla proposta della giunta. La giunta, dopo una attenta valutazione delle molte osservazioni e proposte, il 7 luglio '81 ha presentato un organico disegno di legge. Il successivo esame da parte della commissione e del Consiglio regionale ha introdotto numerose modifiche diventando, dopo alcune osservazioni da parte del governo, nella seconda lettura da parte del Consiglio, la legge regionale 10 marzo 1982, n. 7 «Piano socio-sanitario della regione Piemonte per il triennio 1982-1984". Dopo la regione Emilia-Romagna, il Piemonte era la seconda regione a dotarsi anche di uno strumento di Piano. 7