602 ALDO SCOTTO del T. U., nè l’art. 20 della legge 1936 contenevano, come si è visto, alcuna specificazione (9) e l’Amministrazione e la giurisprudenza si rifacevano alle norme del codice civile, e in ispecie all’art. 2214; ma mentre era pacifico che sussistesse l’obbligo di tenere e di esibire il libro giornale e il libro degli inventari (i° comma dell’articolo citato), restavano incertezze e contestazioni sulla rilevanza, e sulla concreta attuazione nei riguardi tributari, del secondo comma, che concerne l’obbligo di « tenere le altre scritture contabili che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa e [di] conservare ordinatamente per ciascun affare gli originali delle lettere, dei telegrammi e delle fatture ricevute, nonché le copie delle lettere, dei telegrammi e delle fatture spedite » (10). L’art. 7 della legge Tremelloni, invece, conferma esplicitamente l’obbligo di osservare, ai fini fiscali, ambedue i commi dell’art. 2214 del Codice Civile, e precisa inoltre il modo in cui i libri e le scritture ivi previsti devono essere tenuti, e cioè in maniera che « dagli stessi si possano desumere chiaramente e distintamente gli elementi attivi e passivi che concorrono alla determinazione del reddito, in conformità al modello (9) Fin dal 1877 la legge sull’imposta di ricchezza mobile, sanciva implicitamente, per le società anonime e in accomandita per azioni, il dovere di tenere delle scritture, in quanto l’art. 37, n. 5 T. U. (vedi anche l’art. 50) disponeva che : « L’agente delle imposte può :... 5) ispezionare i registri delle società anonime o in accomandita per azioni » : ma evidentemente non era esattamente stabilito di quali registri si trattasse, nè, sembra, erano previste sanzioni fiscali per l’ipotesi in cui i registri non fossero tenuti o non fossero esibiti. Successivamente il R.D. 17 settembre 1931, n. 1608, all’art. 13 disponeva che « ... gli Uffici delle imposte e le Commissioni amministrative possono valersi . . . anche della facoltà d’ispezionare i registri delle società, quali esse siano, e dei privati che hanno per legge l’obbligo di tenere libri e scritture » ; e, coll’art. 23 introduceva questa sanzione : « Il contribuente che ha affermato di non possedere i registri e le contabilità e gli altri atti sociali, ovvero si è rifiutato di esibirli o ne ha comunque impedito la verifica, non può ottenere che i registri, le contabilità e gli altri atti sociali siano presi in esame in qualsiasi sede amministrativa o contenziosa civile, ai fini dell’accertamento del reddito » (a tale sanzione si aggiungeva l’ammenda di cui all’art. 20). Altra vecchia disposizione che fa implicitamente riferimento a un obbligo da parte dei « datori di lavoro » di tenere « registri j> è quella dell’art. io del R. D. 21 dicembre 1922. (10) Sulle conseguenze della mancanza o del rifiuto di esibizione dei cosi detti libri facoltativi (secondo l’art. 21 del vecchio codice di commercio) vedi Comm. Centr., 4 novembre 1929, n. 99654; Comm. Centr., Sez. Unite, 21 febbraio 1934, n. 60182, Cass. Sez. Un., 13 maggio 1937 ; Cass., 12 luglio 1937 (in « Giust. trib. j>, 1938, p. 206) ; Comm. Centr., 8 febbraio 1943, n. 66162 (riprodotta in SammarTIN, op. cit., p. 187) ; sulle conseguenze della inosservanza del secondo comma dell’art. 2214 del nuovo codice, cfr.