la prima volta, ma per la prima volta in termini di partecipazione democratica) che abbiamo bisogno di trarre il meglio da tanta varietà in così poco spazio (o, nella versione pessimista, di evitare il peggio da tanta congestione umana e territori a.le) In pa arole povere, abbiamo bisogno di unità, che eovviamente non significa omologazione (tutte le voci della nostra comune cu ultura da Dante fino a Paso lini ,ci hanno messo in guardia da uesta scorciatoia- trappola), bensi condivisione di funzionalmente questo bisogno di unità, senza necessariamente diventare troppo invadenti, ma anzi stemperando la propria presenza. atta questa necessaria premessa, sono del parere che l’idea di una «capitale a re te> >è una necessità piuttosto che un’opportunita nel nostro paese, a maggior ragione se si con nsidera che' 1 «contenitori» già esistono e sono collocati 1n posizioni strategiche collaudate nei secoli. Si tratta delle capitali regionali più impo ortanti, giustamente accusate di aver acriticamente ripercorso una logica componente essenziale della nostra società, poiche' consentono di articolare' 1n modo significativo strategiche (quali ad esempio l’internazionalizzazione del sistema pro uttivo, la modernizzazione infrastrutturale e la valorizzazione delle risorse uma ne che esigo no un alto tasso di consenso e simultaneamente di differenziazione. In Italia, le regioni sono nate troppo tardi per acquisire un effettivo ruolo di decentramento e troppo presto per dar luogo a una logica istituzionale coerente con la relazionalità tipi ca una società complessa, che alle eop ca nessuno imma inava ne si aspettava. spostarsi anche le istituzioni di governo, per sopravvivere in una società che funziona sul contratto piuttosto che sull’ordina Sono conv1 into che fra s ato e regi oni vi sia un 1ntr1nseca complementarità, non esente da ramificazioni antagoniste ma con una forter adice comu ne. La ra adice consiste nella necessità, ugualmente impellente per il «centro» e per le «periferie», di fare un salto di qualità sia di orizzonti sia di costumi politici. Vale ancora oggi la lezione della battaglia di Lepanto, che segnò la fine della potenza marittim mediterranea, fondat ta su un mare chiuso e sulla forza muscolare, mentre già i paesi atlantici sfidavano gli oceani governando la forza 94