Gli studi di Borzaga (1987) consentono anche di valutare il grado di interdipendenza tra le cooperative e le istituzioni pubbliche. Dalla ricerca del 1986 risulta che il 56% delle cooperative è convenzionato con enti pubblici (sia Usl che comuni). Osservando il bilancio, si nota che il 54% delle entrate deriva dalla fornitura di servizi per conto di enti pubblici, mentre il 46% deriva dalla vendita di beni e servizi (non di tipo socio-sanitario). Le cooperative che producono esclusivamente servizi sociali sviluppano il maggior grado di interdipendenza, poiché la loro unica entrata finanziaria rilevante è costituita dalle convenzioni e dai contributi ottenuti da enti pubblici; per le cooperative impegnate nell'inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati, la maggiore entrata è costituita invece dalla vendita di beni e di servizi non socio-sanitari30. I dati confermano dunque l'esistenza di due tipi di cooperative: per il primo -costituito da imprese che gestiscono strutture e servizi di tipo permanente (come comunità residenziali e centri diurni) - il rapporto convenzionale con l'ente pubblico costituisce «una condizione inderogabile di esistenza e sopravvivenza» (Rei, 1989, p. 152); per il secondo - costituito da imprese specializzate nell'inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati - al rapporto con l'ente pubblico si aggiunge «la ricerca di fonti economiche alternative stabili» (ibidem)31. Nel complesso questi dati evidenziano una configurazione articolata e disomogenea, sia per le attività che per il grado di interdipendenza con le politiche pubbliche. La crescita recente della cooperazione nel campo dei servizi di welfare rappresenta da un lato il frutto della maturazione e consolidamento di iniziative sorte su base volontaria, dall'altro la conseguenza di una strategia pubblica di ampio ricorso a risorse professionali e gestionali esterne al sistema pubblico, e per questo dotate di maggior flessibilità ed economicità. Il terreno di sperimentazione che così si è andato formando ha infine richiesto una maggiore regolazione, che affrancasse le cooperative sociali dai vincoli e dagli svantaggi derivanti da un'incerta fisionomia giuridica, e che garantisse all'istituzione pubblica che il ricorso a queste nuove «imprese sociali» si traducesse in servizi efficaci. La recente definizione di una regolazione nazionale delle cooperative sociali costituisce infatti un'opportunità perché la loro interazione con l'ente pubblico non riproduca l'assistenzialismo e il particolarismo che caratterizza in gran parte il rapporto pubblico/privato nel nostro paese. 56