nostro paese (in una prospettiva simile anche Dente, 1986). È innegabile, da questo punto di vista, che il problema centrale riguardi oggi le possibili modalità di contenimento di una crisi che è contemporaneamente di tipo fiscale (relativa cioè all'equilibrio tra costi e benefici) e di legittimazione (relativa cioè all'adeguatezza dei risultati ai bisogni e alle attese della cittadinanza). Il consenso generale sull'opportunità di promuovere un modello «misto» e plurale di welfare nasconde d'altra parte notevoli incertezze e disaccordi su quale debba essere la collocazione specifica del terzo settore, su quali siano i vantaggi e gli svantaggi di un maggiore intreccio tra politiche pubbliche e settore non profit, su quali siano le modalità più opportune di regolazione di tale intreccio. Tali incertezze, se da un lato dipendono dal concreto articolarsi degli interessi all'interno del settore pubblico e di quello non profit, dall'altro derivano da un impasse teorico, connesso alla difficoltà di concettualizzare la persistenza di un terzo settore vitale ed innovativo in società a welfare avanzato. Prima di affrontare direttamente il problema della regolazione del terzo settore, è dunque opportuno rendersi conto di quale sia il ruolo che le organizzazioni non profit giocano nei sistemi moderni di welfare. Com'è stato ampiamente osservato (Paci, 1989), non disponiamo ancora oggi di una teoria evolutiva dei sistemi moderni di welfare che tenga compiutamente conto del ruolo non residuale interpretato dal terzo settore. Il dibattito recente sui risultati e gli sviluppi delle politiche sociali oscilla ancora tra i due modelli che fanno ormai parte della tradizione dell'analisi sociologica ed economica del welfare: il modello residuale, in cui allo Stato viene demandato il compito minimo di salvaguardare la soddisfazione di alcuni bisogni fondamentali ed in cui il ruolo fondamentale di provvedere i servizi viene giocato dal settore privato; ed il modello istituzionale, in cui lo Stato assume responsabilità crescenti nel quadro di un'impostazione universalistica delle politiche sociali. In coerenza con questo schema evolutivo, gli indicatori più frequentemente utilizzati per segnalare il grado di maturità di un sistema nazionale di welfare si riferiscono all'espansione dell'azione pubblica o al grado di copertura dei bisogni sociali garantita dall'autorità pubblica. Questo modello concettuale non può che attribuire al terzo settore una funzione marginale, destinata a ridursi via via che la responsabilità pubblica si espande e si rafforza. Tuttavia, anche nei sistemi di welfare istituzionale la filantropia e la mutualità privata costitui- 18