contrazione delle responsabilità gestionali dell'istituzione pubblica può far apparire come più ridotta anche la sua forza regolativa; non solo nel senso banale che sono meno estesi i settori su cui lo Stato interviene direttamente, ma anche nel senso che, via via che l'intervento diretto diminuisce e perde di legittimità, appaiono più deboli anche gli strumenti e le motivazioni della regolazione pubblica. Tuttavia, la molteplicità degli attori che assumono responsabilità di gestione dei servizi di welfare richiede, come abbiamo già detto, lo sviluppo di una nuova forma di regolazione pubblica, non più centrata sulla definizione per via autoritativa dei contenuti specifici delle politiche di intervento, quanto sul coordinamento dell'azione dei nuovi attori con gli obiettivi ed il quadro orientativo delle politiche pubbliche. Nel contesto italiano, ma più in generale in quello dei paesi europei, il crescente riconoscimento delle organizzazioni non profit come attori delle politiche sociali pone il problema cruciale di verificare se tale inclusione sia compatibile con il mantenimento di una prospettiva universalistica del welfare (per quanto debole e limitata essa sia). Il recupero del terzo settore, come abbiamo detto, coincide infatti con una profonda crisi del modello universalistico a dominanza pubblica del welfare. Il limite maggiore allo sviluppo di una regolazione universalistica del terzo settore riguarda proprio l'identificazione di cosa si possa considerare come «utilità collettiva». I classici modelli di integrazione del terzo settore proposti da Beveridge e da Titmuss presupponevano l'esistenza di una politica pubblica in grado di selezionare con relativa facilità gli obiettivi, e potevano così individuare il ruolo della filantropia privata in funzione del completamento di tali obiettivi. La ripresa attuale del terzo settore avviene invece a partire dalla difficoltà sempre crescente dello Stato sociale di esprimere propri obiettivi selettivi. Nei sistemi complessi la politica pubblica di welfare, se da un lato è chiamata ad aumentare notevolmente la propria selettività (individuando criteri sempre più stringenti di accesso della cittadinanza ai servizi, definendo priorità di intervento, selezionando quote di popolazione da soddisfare, e via dicendo), dall'altro sembra aver smarrito la sua funzione tradizionale di sintesi e di composizione degli interessi particolari. Il suo ruolo non è più quello della regolazione complessiva, quanto quello della mediazione tendente alla riduzione e alla semplificazione dei problemi. Si può dunque pensare che, in una situazione di scarsa identifi- 30