cazione degli obiettivi collettivi, il ricorso alle organizzazioni non profit non risponda tanto all'obiettivo di «completare» le politiche pubbliche, quanto all'esigenza di ridurre la complessità dei problemi individuando attori esterni al sistema pubblico cui delegare la responsabilità della loro soluzione. In questo nuovo scenario la regolazione pubblica del terzo settore non consiste tanto nella definizione di un orientamento pubblico vincolante per le attività libere e discrezionali delle non profit, quanto nella definizione di regole che consentano una chiara distinzione di responsabilità e di competenze. La sua efficacia risiede nella capacità di evitare duplicazioni e sprechi, non certo in quella di superare la frammentazione e il particolarismo. Un secondo limite è posto dalla natura stessa delle organizzazioni del terzo settore. C'è infatti da chiedersi se una gestione privata dei servizi di welfare, per quanto non orientata al profitto, sia compatibile con un'impostazione delle politiche di welfare fondata sul riconoscimento del diritto dei cittadini a pretendere una soddisfazione equa dei loro bisogni essenziali. È questa infatti la caratteristica fondamentale che distingue i sistemi di welfare maturo dai sistemi storicamente precedenti: il fatto di sottrarre alla discrezionalità del filantropo la realizzazione dei servizi necessari alla popolazione e di affidarla invece ad un'autorità legittimata proprio in base alle garanzie che offre di rispetto dei diritti dei cittadini. L'affidamento di tali servizi ad agenzie private, siano esse lucrative o non lucrative, non consente però il rispetto dell'idea che questi siano esigibili in base ad un diritto di cittadinanza. Il motivo fondamentale di questa incompatibilità risiede nella natura costitutiva delle organizzazioni non profit, ovvero di agenzie la cui attività di servizio è motivata da principi etici o da ideali altruistici che sono patrimonio esclusivo di chi la promuove, e che ben difficilmente possono essere condivisi con chi beneficia di tali servizi10. Si tratta dunque di attività discrezionali, la cui natura non lucrativa dipende strettamente dall'esercizio di una volontà che non può essere costretta dall'obbligo derivante dalla rivendicazione o dal riconoscimento formale di un diritto. Le organizzazioni non profit, nella misura in cui mantengono la loro natura di attività fondate su valori morali non derivanti né da interessi economici né da poteri autoritativi dell'istituzione pubblica, mantengono quindi un ampio «potere di donare» che si traduce praticamente nel massimo potere di scelta su «chi aiutare» e su «come 31