vo e non sulla funzione di protezione sociale) e in coincidenza con la graduale estensione dei programmi pubblici di assicurazione obbligatoria (che tolgono interesse ed attualità alle Societàdi Mutuo Soccorso). La seconda fase (che va dai primi anni del Novecento sino agli anni Sessanta) vede, a fianco dell'estensione dei programmi previdenziali pubblici, l'affermarsi di associazioni di categoria che ottengono un riconoscimento pubblico, sino a diventare le uniche rappresentanti riconosciute degli interessi di specifiche categorie di invalidi. Alcune associazioni riescono infatti ad assumere negli anni Trenta la personalità giuridica di ente pubblico, e di conseguenza divengono le titolari esclusive della tutela e della rappresentanza delle rispettive categorie: sono le associazioni degli invalidi e delle vittime di guerra, dei mutilati ed invalidi civili, degli invalidi «sensoriali» (ciechi e sordomuti). Il molo giocato da queste associazioni nello sviluppo del nostro sistema di welfare appare importante: la loro presenza consente da un lato uno sviluppo dei programmi pubblici all'insegna del riconoscimento di interessi e di bisogni di tipo particolaristico, dall'altro una pratica di distribuzione delle provvidenze governata da clientelismi e da una mentalità protezionistica. A tale molo ha corrisposto una limitata capacità, da parte di queste organizzazioni, a sviluppare forme di partecipazione e di controllo dei soci sull'attività associativa26. Infine la terza fase (che va dagli anni Settanta ad oggi) vede innanzitutto una progressiva chiarificazione della distinzione di responsabilità tra autorità pubbliche ed associazioni di categoria. Il Dpr n. 616/1977 stabilisce infatti la trasformazione delle associazioni nazionali di categoria in enti morali con personalità giuridica di diritto privato, e fa cessare ogni forma di finanziamento e contributo statale a loro favore. Tuttavia tali associazioni, pur perdendo l'esclusività della tutela giuridica, mantengono la facoltà di nominare rappresentanti nelle diverse commissioni per l'accertamento dell'invalidità, «cosicché l'invalido resta obbligato ad essere rappresentato da un'associazione che non ha scelto, ma che è stata incaricata della sua tutela dallo Stato» (Chiodini, 1984, p. 29). A fianco di queste associazioni nazionali si sviluppa però un nuovo tessuto di associazioni, autonome istituzionalmente, fondate non più su categorie di invalidità quanto sull'identificazione di bisogni e di patologie specifiche, le quali offrono una tutela diretta (tramite l'offerta di servizi e l'incentivo a forme di cooperazione tra i soci) 52