GLI EFFETTI NEGATIVI DELLO SVILUPPO 217 da lui detto « costante » e il capitale destinato al corrispondente impiego del lavoro, da lui detto « variabile »)? L'elevata composizione organica del capitale sarà dunque un sintomo non una causa del progresso di una nazione, cioè un'indicazione di crescente saturazione delle condizioni che lo consen-tono e lo sollecitano. Un'applicazione corrente di queste classiche riflessioni si ha nel fe-nomeno delle imprese multinazionali, il parallelo moderno del « carrying trade » di Smith (commercio di trasporto esercitato con capitale nazionale tra paesi terzi). Qualunque possa essere il profitto netto di esse, il valore aggiunto alla produzione délia madrepatria sarà relativamente basso o nullo. Diverso discorso vale invece per il paese ospite. Tuttavia non senza riserve per la caduta indotta dalle multinazionali nel « command » del capitale indigeno, tanto sul lavoro che sulla terra. Una caduta che non va sempre a vantaggio dei percettori di reddito da lavoro. La forzata obsole-scenza delle tecnologie e dei mezzi di produzione in genere va infatti con-siderata un tratto negativo del progresso. Perché se è évidente che l'ac-celerato processo di intensificazione e di sostituzione del capitale (« capital widening » e « capital deepening » secondo i grammatici moderni) aumenta la produttività del lavoro, non meno évidente è il fatto che questa produttività va in larghissima misura perduta al suo scopo, che è l'accrescimento dei beni finali. Perché tanta inflazione in un mondo produttivisticamente tanto avanzato? Anche e for se soprattutto perché si producono capitali al fine di produrre altri capitali. Come in una produzione di guerra. Contro le multinazionali non si vorrà tuttavia far valere la dottrina dello Stato commerciale chiuso di Fichte. Le lotte del lavoro per miglio-ramenti retributivi e normativi conducono nella stessa direzione; mentre la cieca richiesta di investire potrebbe essere una quaresima non seguita dalla pasqua. Nella direzione prematuramente sostitutiva del capitale al lavoro spingono anche i costi délia politica sociale. La dottrina dell'astinenza produttiva, che ha perso status tra le teorie dell'interesse, dovrebbe essere riconsiderata in questa chiave critica tanto relativamente al processo di sostituzione che di ampliamento del capitale, ossia relativamente al progresso tecnico e a quello economico nel senso di Walras. Quindi anche tutto il principio délia maggior fécondité dei processi produttivi indiretti — in sostanza sempre divisione del lavoro e allargamento dei mercati — teoriz-zato da tutti, ma con maggior determinazione negli « Umwege » di Bohm-Bawerk, domanda scrutinio critico. Avrebbe ad esempio senso, in Italia e negli altri paesi permissivi, indurre dall'enorme popolazione universitaria 1974 - Rivista Internazionale di Scienze Economiche e Commerciali - n. 3 2