LA REPRESSIONE VALUTARIA ITALIANA
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conseguenze negative sul potere d’acquisto della collettività almeno per quel tanto che il fenomeno contribuisce al rincaro delle merci estere. Ma questa è soltanto un’amplificazione delle distorsioni fondamentali della distribuzione del prodotto annuale del paese, cui il variare del cambio per sé non costituisce rimedio. I rapporti che condizionano sono quelli della riproduzione del reddito. In Italia, per tacere della spesa pubblica in progressiva esorbitanza relativamente all’entrata fiscale, la principale distorsione si ha nel rapporto capitale-lavoro. Nella intuizione generale come nelle teorie dello sfruttamento si vorrebbe che il capitale per effetto dell’accumulazione cresca più rapidamente del costo del lavoro che lo complementa. Un confronto tra i valori dell’immobilizzo tecnico netto (dati Mediobanca, 1975) rispetto al costo del lavoro per il 1966 e 1974 dà invece, in alcune imprese maggiormente rappresentative nei rispettivi settori, le relazioni o « rapporti organici » seguenti ( i dati in parentesi sono in miliardi ) : 2,5 (63/29) e 1,6 (207/125) per la Snia Viscosa (tessile); 7,5 (976/130) e 7,4 (3256/437) per la SIP (comunicazioni); 3,4 (407/117) e 2,7 (986/355) perla Montedison (chimica); 11,2 (1070/95) e 5,8 (2041/347) per l’Italsider (siderurgia); 0,8 (255/311) e 0,7 (739/1064) per la Fiat (meccanica); 1,4 (17/12) e 1,3 (50/36) per la Motta (alimentari); 3,7 (37/10) e 1,8 (66/35) per l’Italcementi (materiali da costruzioni). Questo mentre l’immobilizzo tecnico per addetto veniva pressoché raddoppiato nel periodo, passando rispettivamente (in milioni) da 4,8 a 8,6 per la Snia Viscosa, da 21,9 a 48,5 per la SIP, da 9 a 19,6 per la Montedison, da 28 a 40,8 per l’Italsider, da 2,1 a 3,8 per la Fiat, da 4,2 a 8,3 per la Motta, da 7,4 a 13,2 per l’Italcementi.
      Altro che marxiana progressione geometrica del costante (qui immobilizzo tecnico netto) e aritmetica soltanto del variabile (qui costo del lavoro).
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      Quanto all’efficacia dei controlli valutari, maestri e discepoli dell’evasione certamente rideranno pensando all’immunità dei casi propri. Si tratta tuttavia di un riso amaro, che non rimedia al disagio e alla mortificazione del sotterfugio, al disgusto del prossenetico, alla consapevolezza di diritti personali mal garantiti. Perché invero impedendo la destinazione elettiva del denaro si limita la libertà individuale e si espongono gli equivalenti del lavoro prestato e dei beni ceduti alla malversazione altrui. In Italia, per un modesto ius murmurandi, i risparmi non sottratti ai bisogni della produzione e dello Stato sono stati svuotati della capacità d’acquisto. Anche delle leggi a presidio di questa equità è rimasto soltanto il guscio vuoto; e quasi è consuetudine che non si governi e giudichi in base allo statuito, ma secondando pretese che vogliono legittimazione.