Barin ni i di ripresa in Inghilterra Quante volte, negli ultimi anni, il desiderio ha precorso la realtà nelle previsioni continuamente smentite del ritorno al benessere, non appena si delineava un lieve accenno di ripresa? Forse anche i miglioramenti di vari rami dell'economia britannica palesati dalle recenti statistiche sono un altro episodio fra i molti, un'altra falsa partenza, e può darsi che l'ottimismo oggi pian piano pervadente i flemmatici Britanni si smorzi ancora in una delusione. Tuttavia, gli indici di progresso sono parecchi: dalle condizioni delle maggiori industrie all'andamento del commercio estero; dalle finanze pubbliche alla situazione delle banche, dall'attività sul mercato dei capitali all'intensificato traffico ferroviario. Vi si aggiunga la forte diminuzione nel numero dei disoccupati, la stabilità della sterlina e si potrà concludere non essere fuor di luogo l'incipiente ottimismo. La ripresa non è stata uniforme per tutte le industrie, ma nessuna delle attività maggiori ha mancato di segnare qualche beneficio fra l'inizio e la fine del 1933. Il maggior progresso, forse, l'hanno fatto le industrie del ferro e dell'acciaio e quella della lana. La produzione di ghisa è salita a 4.123.600 tonn, da 3.574.000 nel 1932 e quella dell'acciaio a 7.002.800 da 5.261.400. Progresso significativo perchè verificatosi in massima parte durante gli ultimi mesi, e sintomo di crescente attività in altri rami dell'industria del paese. Il miglioramento dell'industria laniera merita pure di essere sottolineato, perchè la lana è una delle poche materie prime che non vennero assoggettate a restrizioni di produzione; ciò nonostante, ha potuto ottenere una sana posizione statistica e garantirsi un mercato abbastanza fermo. Questa è la ragione principale del miglioramento dell'industria, a cui però ha pure notevolmente contribuito la moda favorevole. L'industria cotoniera ha invece avvantaggiato di pochissimo rispetto all'anno precedente: a causa, senza dubbio, delle fluttuazioni di prezzo del greggio in connessione coll'oscillare del dollaro, la incertezza sull'ammontare del raccolto e delle scorte disponibili in futuro. Conferma del perdurare di difficoltà il cui rimedio è solo in parte nelle facoltà dei produttori britannici (si abbia sempre presente la concorrenza specialmente asiatica alle cotonate di Manchester) vien data dai risultati di un largo gruppo di cotonifici del Lancashire, riferiti ora dall'Economist. In 194 ditte, proprietarie di 20.102.754 fusi e 22.379 telai, il dividendo ordinario medio è stato per il 1933 dell'I,37 % (da 1,47 l'anno prima) : in realtà, solo una trentina di queste ditte corrisposero il dividendo agli azionisti, mentre la maggior parte chiusero l'esercizio in perdita. Bisogna anche tener conto della consueta.flessione negli ultimi due mesi dell'anno, che ha arrestato l'incipiente espansione dei mesi precedenti: mentre un certo, benché indiretto, sollievo dovrà risultare dalla conclusione dell'accordo commerciale tra i governi indiano e giapponese, a norma del quale la importazione di cotonate giapponesi in India sarà limitata a 400 milioni di yarde, e sottoposta a un dazio del 50 % ad valorem. Per le importazioni sopra i 125 milioni di yarde il Giappone si impegna di acquistare una data qualità di cotone greggio dall'India — fino a un massimo di un milione e mezzo di balle in corrispondenza della massima importazione di cotonate giapponesi (400 milioni) consentita dal trattato. Poiché dal marzo 1932 al marzo 1933 le esportazioni giapponesi in India ammontarono a 579 milioni di yarde si prevede che colle attuali limitazioni rimarrà aperta alla concorrenza fra i produttori locali e quelli del Lancashire una non disprezzabile parte della richiesta. D'altronde, la condizione dei cotonieri inglesi è comparativamente peggiorata quanto al trattamento doganale; Progresso nelle industrie del ferro, dell'acciaio e della lana - Resultati lucerti nell'industria carbonifera e delle eostruzioni navali -Meglio, l'industria meccanica - La bilancia commerciale migliora - Disoccupazione ridotta prima dell'accordo infitti il dazio sulla prove-nienza giapponese era del 75 % e ora è ridotto al 50 %, mentre rimane a 25 % il dazio sulla provenienza britannica. Sono intanto riawiate le trattative fra produttori inglesi e giapponesi, che vennero sospese durante i negoziati nippo-indiani, e dalle quali si sperano più sostanziali benefici all'industria del Lancashire. Si ha inoltre notizia di una importante iniziativa per riorganizzare l'industria stessa, promossa da parte operaia e precisamente dalla United Textile Factory Workers' Association, che propone la formazione di un organo centrale di controllo (Cotton Control Board) composto di rappresentanti padronali e delle maestranze, a cui verrebbe dato potere di vigilare sulla osservanza dei contratti collettivi, di studiare ed attuare progetti per la razionalizzazione dell'industria, e di instaurare un sistema di controllo consorziale sulle vendite. Finora però gli industriali si sono mostrati poco disposti a considerare la proposta. L'industria del carbone ha avuto nel 1933 risultati incerti, e in complesso non molto migliori di quelli dell'anno precedente. In parte ciò è dovuto alla eccezionale mitezza atmosferica dell'anno passato, in parte alle più severe restrizioni poste da alcuni paesi del continente europeo alle importazioni di carbone, le quali non furono interamente compensate dall'incremento delle esportazioni verso i paesi scandinavi in seguito agli accordi commerciali stipulati nel 1933. Se nell'insieme della Gran Bretagna la situazione dell'industria carbonifera non è variata, si è avuta però una redistribuzione nell'attività dei vari bacini, che ha accentuato il disagio del South Wales (fornitore dell'Europa continentale) e migliorato il tono del Northumberland e del Durham (fornitori dei paesi scandinavi). Durante l'anno il totale della produzione fu di 211 milioni di tonnellate, contro 213 nel 1932. L'industria del carbone è fra quelle che più necessitano di riorganizzarsi sia dal punto di vista tecnico che da quello mercantile: ma sinora poco si è fatto in questo senso. I proprietari di miniere hanno in complesso tenuto pochissimo conto delle raccomandazioni della legge del 1930, per la formazione di intese volontarie regolanti la divisione dei mercati, la quantità cavata e i prezzi. Come si nota nella relazione che la Coal Mines Reorganisation Commission ha recentemente presentata al governo, il tradizionale individualismo dei produttori e lo spezzettamento della proprietà delle miniere l'hanno avuta vinta sn ogni tentativo di accordi volontari. Per quanto a malincuore il governo sarà costretto prima o poi a valersi dei poteri obbligatori conferitigli dal Coal Mines Act 1930 e a promuovere accordi di autorità, e dovrà forse anche entrare nella sfera dei rapporti salariali per comporre la disputa trascinantesi da anni fra i minatori, che vorrebbero tornare al contratto collettivo a base nazionale (di cui godettero per breve tempo dopo la guerra) e i proprietari, che con altrettanta tenacia si ostinano a rifiutarlo. Un'altra industria che ha segnato il passo è quella delle costruzioni navali, salvo negli ultimi mesi dell'anno. Alla fine di dicembre erano in costruzione 332.000 tonn., da 304.000 a fine settembre e 225.000 in die. 1932. Durante l'ultimo trimestre vennero varate 65.000 tonn, contro 42.000 da luglio a settembre e 39.000 nell'ultimo trimestre dell'anno prima. Il miglioramento è tanto più notevole in quanto non si riscontra in altri paesi — anzi il tonnellaggio costruito all'estero calò da 453.000 a 426.000 da settembre a dicembre — e il 21 % della produzione (tutte cifre dell' ultimo Lloyd's Register) in corso a fine d'anno era per conto di committenti stranieri. Per quanto però questi risultati possano incoraggiare, è certo che un progresso sostanziale dell'industria potrà venire solo dalla ripresa del commercio im ternazionale oggi così variamente e pesantemente ostacolato. Miglioramenti si ebbero pure nei diversi raJ mi della industria meccanica; l'industria automobilistica segnò durante il 1933 nuovi re1 cord di produzione e di esportazione: 286.283 autoveicoli prodotti e 51.751 esportati, contro 232.719 e 40.186 l'anno prima, e 238.805 e 42.011 nel 1929. Si è ridotta enormemente — secondo le statistiche della Society of British Motor Manufacturers and Traders — la importazione dall'estero, passata da 37.785 autoveicoli nel 1929 a 3.031 nel 1932 e 3.971 nel 1933. Lo sviluppo dell'industria trova le sue principali ragioni nell'anmentato potere d'acquisto dei consumatori britannici col progressivo miglioramento della situazione economica generale, e nel deprezzamento della sterlina dopo l'autunno 1931, che ha stimolato specialmente le esportazioni, favorite anche dal tipo utilitario-economico di vettura a cui gli industriali inglesi si sono particolarmente dedicati. 11 commercio estero ha segnato durante il 1933 una nuova riduzione delle importazioni, mentre l'ammontare delle esportazioni rimase invariato. La gioia dei difensori ad oltranza della « bilancia del commercio » deve però temperarsi alquanto di fronte alla constatazione che dal 1928 ad oggi, mentre il valore delle importazioni è calato del 33,5 % quello delle esportazioni si è ridotto di bén il 49,2 %, e quello délie riesportazioni ancora di più, del 59,6 %. Dalla crisi generale e dal protezionismo « imperiale », l'Inghilterra ha preso più colpi che non ne abbia inferti altrui (sempre per adottare il linguaggio bellico-allar-mistico dei novelli mercantilisti). Tuttavia se Íe cifre complessive per l'intero anno non consentono eccessivo ottimismo, è incoraggiante il progresso continuo di trimestre in trimestre, in tutti i rami del commercio estero; tanto che l'ultimo trimestre 1933 è il migliore dopo il primo del 1931. Ottimo sintomo è l'aumento nelle importazioni delle principali materie prime, il quale, data l'attuale abbondanza di scorte delle medesime, che serve in certo modo a stabilizzare il mercato, non pare debba attribuirsi come di consueto a motivi stagionali. Nelle esportazioni si rilevano aumenti in alcune voci più importanti, quali il ferro e l'acciaio, i tessuti di lana, i prodotti di lino e le automobili. Per queste due ultime, anzi, il volume dell'esportazione ha superalo quello del 1928. Risultano invece diminuite le esportazioni di macchinario (che hanno toccato nel 1933 la quantità minima dopo l'inizio della depressione) e di cotonate. Le cifre del commercio