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DAVIDE HUME
[406-407]
                          tento chi vive sicuro di chi vive fra continui timori, quanto è più lieto un uomo libero di uno schiavo, quanto è più gradito l’essere corteggiato del corteggiare, quanto è più piacevole ispirare stima anziché suscitare sospetti. Prima ero costretto ad accarezzare tutte le spie, gravava sempre su me qualche imposizione, non mi era mai permesso di viaggiare o assentarmi dalla città. Ora invece che sono povero, sembro grande, e minaccio gli altri. I ricchi mi temono e mi dimostrano in tutti i modi cortesia e rispetto, e sono divenuto una specie di tiranno nella città » *). In una delle arringhe di Lisia 2) l’oratore per incidente parla con molta freddezza, come di una regola seguita dal popolo ateniese, del fatto che ogni qualvolta si trovavano ad aver bisogno di danaro, mandavano a morte i più ricchi concittadini, o stranieri, per amore della confisca. Ricordando ciò, pare che non abbia nessuna intenzione di biasimare un uso simile, e tanto meno poi quella di provocare coloro, che costituivano il suo uditorio e i suoi giudici.
                            Pare infatti che quel popolo pretendesse da ogni cittadino o straniero, che acconsentisse o a immiserirsi, o a farsi spogliare di tutto, lasciandovi per giunta anche la vita. L’oratore su menzionato vi dà la piacevole relazione di una proprietà messa a disposizione del pubblico ; circa un terzo di essa fu spesa in spettacoli e danze simboliche3).
                            Non ho poi bisogno d’insistere [407] sui governi tirannici di Grecia che erano addirittura orribili. Anche le monarchie temperate, con cui si governavano molti antichi Stati greci, prima dell’introduzione delle repubbliche, erano assai instabili. Dice Isocrate che, fatta eccezione di Atene,
                               4) Pag. 885 ex edit. Leuuclav.
                               2) Orai. 29 in Nicom., 185.
                               3)    Per guadagnare al suo cliente il favore popolare, enumera le somme da lui spese. Quando era x^P^TÒi, 30 mine; per un coro di uomini, 20 mine ; sì? mppixtaià? 8 mine, àvòpàat x°P’!T<“v> 50 mine; xox\mù> xsp<», 3 mine; fu trierarca sette volte e vi spese 6 talenti ; pagò una volta 30 mine, e un’altra 40 di tasse : Yop-vastapxàv, 12 mine ; X°P’1T<1? xati'.xù x°P<P> 15 mine ; xopwSoc? x°PvlY“>v> 18 mine ; nopppiateti? àye-vsioi?, 7 mine; tp^ps‘ àpuXX<ó|isvo;, 15 mine; àpxiDimpo?, 30 mine. In tutto dieci talenti e 38 mine, una somma immensa per una fortuna Ateniese, e tale da essere per sè sola considerata una grande ricchezza. Orai. 21, 161. È vero, egli dice, che la legge non l’obbligava a spendere più di un quarto del suo, ma senza il favore popolare nessuno poteva dirsi salvo, e questa era la sola maniera atta a guadagnarselo. Vedi orat. 25 de popul. statw.
                               In un altro luogo introduce un uomo a dire che egli ha speso pel popolo l’intera proprietà, una fortuna considerevole, 80 talenti. Orat. 26, De probit. Evandri. I ¡jìmwoi, o stranieri, trovano, dice egli, che se non contribuiscono a seconda del volere popolare, hanno presto ragione di pentirsene. Orat. 31 contra Phil. Potete vedere con quanta cura Demostene fa mostra delle sue spese di tal genere, quando perora a favor suo de corona, e come esagera l’avarizia di Mida su questo riguardo nell’accusa di questo colpevole. E, a proposito, questo è indizio di una giustizia iniqua. Eppure gli Ateniesi pretendevano di avere l’amministrazione più legale e regolare di tutti i popoli greci.