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   demeriti e dei loro delitti. — La frode, la falsità, la violenza, l’abuso, sono le vere armi che la concorrenza fa prevalere. — L’onestà, la lealtà, le virtù migliori dell’uomo e del cittadino sono elementi di debolezza e d'inferiorità in questa riprovevole battaglia. — È innegabile che in questa violenta carica contro la libera concorrenza, v’è qualcosa di vero » (Loria, Corso; p. 449). Infatti i vinti non spariranno dalla scena del mondo « produrranno di meno ecco tutto » (p. 449). « Quindi non è alla libera concorrenza che si devono imputare gli inconvenienti che oggi si possono condannare », ma alla Società (Loria; p. 450).
        Già prima, il De Sismondi aveva contraddetto « uno degli assiomi sui quali in econ. poi. si è maggiormente insistito, e cioè che la concorrenza più libera determina il corso più vantaggioso dell’industria, perchè ciascuno intendeva l’interesse proprio meglio di quello che lo possa intendere un governo ignorante e disattento, e che l’interesse di ciascuno formava l’interesse di tutti. L’uno e l’altro assioma è vero, e ciò non ostante la conclusione non è giusta. L’interesse di ciascuno frenato da tutti gli altri, sarebbe difatti l’interesse di tutti: ma ciascuno cercando l’interesse proprio a spese degli altri non è mica sempre frenato da forze eguali alle sue; allora il più forte trova il suo interesse a pigliare tutto per sè, e il più debole a non resistergli [e quindi a smettere la funzione sua originaria, per. trasceglierne un’altra]. In questa lotta di tutti gli interessi, degli uni contro gli altri, l’ingiustizia [cioè la funzione socialmente, dato o postulato uno scopo, meno utile o più dannosa; l’ordinamento più corrotto, ecc.] può sovente trionfare, e, in tal caso, l’ingiustizia sarà quasi sempre secondata da ima forza pubblica che si crederà imparziale, e che infatti lo sarà, poiché, senza esaminare la causa, si porrà sempre dalla parte del più forte » (De Sismondi, Nuovi Principi di Econ. Poi., in: Bib. d. Econ., Serie I, Voi. IV; p. 602). Vedesi dunque da questo passo bellissimo come il Sismondi interpreti il forte messo in contatto con il debole in modo sostanzialmente identico al nostro: il forte è paragonabile a un reagite chimico che trasforma il debole. Naturalmente abbiamo qui esteso il pensiero di questo A.