— 510 — reciproche; ed inoltre esprime efficacemente i rapporti di solidarietà, che legano la finanza alla economia sociale. Per ottenere il medesimo risultato l’autore propone altri rimec i c dii suggerimenti d’indole diversa. Così tocca di alcune ìifoi me dell’amministrazione pubblica, a fine di conseguire una certa economia nelle spese; dimostra gli effetti dannosi del debito pubblico sulle orme del Galiani e dello Smith e sostiene la necessità di estinguerlo mediante una cassa di ammortizzazione ; insiste specialmente sulla massima, che non si aggravino troppo i conti i-buenti colle imposte e che queste siano moderate e non oltrepassino il limite del superfino; e vuole infine ch’esse si percepiscano col sistema della regia, ammettendo l’appalto soltanto per le regalie, le privative fiscali e le industrie esercitate dallo Stato (1). Ma i fatti non corrisposero alle idee e ai voti espressi dagli scrittori per lunga serie di anni, e seguirono un lento corso nella via dei progressi economici. Le riforme tentate in quel senso da Pio VI verso la fine del secolo scorso incontrarono molti ostacoli e furono interrotte per i casi inopinati e straordinari, che indi seguirono. La condizione delle cose rimase a un di presso immutata, allorché sopraggiunsero i rivolgimenti politici del 1847-48; 1 quali accrebbero le difficoltà finanziarie del governo ed aumentarono il disavanzo a cagione de’ nuovi bisogni pubblici. Indi lo nuove discussioni e i calcoli più accurati per chiarire lo stato della finanza, e le proposte varie per migliorarlo. Il Farricelli nelle Osservazioni intorno al rapporto del pro-tesoriere Morichini, dice, eh’esso contiene dati incerti e parecchi errori di fatto circa la situazione del bilancio; e quanto alle riforme proposte, afferma clic in parte sono insufficienti, e in parte inammissibili e dannose. In ¡specie combatte il disegno di un’imposta sovra le arti, le professioni e sovra ogni maniera d’industria, dicendo che sarebbe ingiusta, odiosa e vessatrice, specialmente riguardo agl’impiegati pubblici. Introdotta nel primo regno d'Italia (23 dicembre 1807) dovette poi abolirsi (6 luglio 1816). E infine osserva, che le spese di percezione delle imposte nello Stato pontificio sono eccessive, arrivano in complesso al 15 °/₀, mentre nel regno italico non oltrepassavano, secondo il Pecchio, 1'8 °/₀ ; e dice che con un’ammini (1) Considerazioni, p. 57-64.