li e s [ i esempi dimostrano tM quanto sia sottile la linea di demarcazione tra le legittime competenze del Ministro e l'uso distorto di tali poteri: le modalità con cui sono state effettuate le ispezioni disposte dal Guardasigilli Biondi nell'autunno 1994 presso le procure della Repubblica di Milano e di Palermo hanno sollevato il dubbio che tale strumento, in sè pienamente legittimo, potesse essere strumentalizzato per portare a conoscenza del potere esecutivo atti processuali relativi ad esponenti del governo coperti dal segreto investigativo; il conflitto insorto tra il Guardasigilli Martelli e il CSM sul carattere vincolante o meno del concerto del Ministro per la nomina dei capi degli uffici (poi dichiarato inammissibile dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 379/1992) è stato interpretato come espressione della volontà dell'esecutivo di riappropriarsi del potere di nomina degli uffici direttivi riservato dalla Costituzione alla competenza esclusiva del CSM. In conclusione, le rispettive sfere di competenza del CSM da una parte, del Ministro della Giustizia dall'altra, pur essendo definite con sufficiente chiarezza dalla Costituzione, hanno sempre risentito, durante tutto l'arco del cinquantennio repubblicano, dei concreti rapporti di forza tra la magistratura e il potere politico. Nei periodi in cui la magistratura gode di forte legittimazione e consenso sociale, conquistati anche grazie alle iniziative giudiziarie in settori di fondamentale importanza per la difesa della convivenza civile e per l'affermazione dei controlli di legalità sull'operato dei pubblici poteri, il potere politico tende a rispettare le funzioni ed il ruolo svolti dal CSM a tutela dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura e dei singoli giudici. Basti pensare, per i periodi più recenti, ai processi contro il terrorismo a cavallo tra la fine degli anni Settanta ed i primi anni Ottanta; alle indagini del pool antimafia di Palermo su Cosa Nostra tra il 1983 e il 1986 e poi, tra il 1992 e il 1994: all'azione giudiziaria contro l'intreccio corruttivo tra affari, politica e pubblica amministrazione nel triennio 1992-1994. Al contrario, quando l'azione giudiziaria è debole, ovvero quando lo stesso CSM, diviso tra le varie correnti dell'Associazione Nazionale Magistrati e tra i diversi schieramenti politici dei componenti laici, appare incapace di delineare linee unitarie di politica giudiziaria e persegue piuttosto finalità distorte di lottizzazione clientelare o partitica nella nomina dei capi degli uffici, il potere politico tende a riappropriarsi di spazi di controllo e di condizionamento sulla magistratura: tipico è stato, al riguardo il periodo tra la fine degli anni Ottanta ed i primissimi anni Novanta, in cui sì sono scatenate vere e proprie campagne contro la stessa legittimazione dei poteri "atipici" del CSM, condotte anche dall'allora Capo dello Stato e Presidente del CSM Francesco Cossiga, sino alla proposizione di veri e propri conflitti di attribuzione tra il Ministro della Giustizia e il CSM. Obbligatorietà dell'azione penale e indipendenza del pubblico ministero (Articoli 107 comma 4°, 112) 1 principi dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura si ripropongono in forma più problematica con riferimento alla posizione del pubblico ministero, sia per la tradizione storica della sua sottoposizione gerarchica al ministro della giustizia, sia perché l'art. 107 comma 4° non è privo di una certa ambiguità, limitandosi a rinviare alle garanzie stabilite per il pubblico ministero dalle norme sull'ordinamento giudiziario (nel momento in cui venne approvata la Costituzione, la precedente disciplina era già stata modificata dal d.l.lgs. 511/1946, che assicurava l'indipendenza dal ministro della giustizia). Di fronte ad una norma costituzionale apparentemente ambigua, il problema dell'indipendenza del pubblico ministero va affrontato richiamandosi da un lato al principio di obbligatorietà dell'azione penale, (o principio di legalità), sancito dall'art. 112, dall'altro ai principi e meccanismi già esaminati che garantiscono l'indipendenza di tutti i magistrati, ivi compreso il pubblico ministero. In effetti, il principio di legalità o obbligatorietà dell'azione penale è un presupposto da cui discende necessariamente un rapporto di indipendenza dal potere politico. L'inconciliabilità logica e istituzionale tra obbligatorietà dell'azione penale e dipendenza dal governo venne espressa con eccezionale chiarezza da Piero Calamandrei all'Assemblea Costituente, mediante argomentazioni che conservano una grande attualità di fronte alle proposte avanzate da almeno un decennio di sottoporre nuovamente il pubbico ministero a forme di controllo politico: "Se il Ministro della giustizia ha un potere gerarchico sul pubblico ministero, ha anche il potere di ordinargli come deve procedere ed il pubblico ministero si deve uniformare all'ordine ricevuto. Or questo può essere un ordine di non procedere, mentre egli, per legge, è tenuto a procedere. E allora gli si presenta il dilemma: o non procede perché il Ministro così gli ordina, e viola la legge; o si attiene al princìpio di legalità non uniformandosi all'ordine del Ministro, e allora infrnage il rapporto gerarchico di dipendenza dal Ministro. Quindi non si può volere affermare da una parte il principio di legalità, e dall'altra considerare il pubblico ministero dipendente dal Ministro: o l'una o l'altra cosa è proposta inutilmente". L'indipendenza del pubblico ministero è quindi l'unica via per "evitare i gravi inconvenienti verificatisi sotto il regime fascista e che potrebbero rinnovarsi sotto qualsiasi governo: che si verifichi cioè che gli stessi fatti siano considerati reati per appartenenti ad una determinata tendenza politica e per altri no" (Atti Ass. Cost., voi. Vili, 1993, 1970). La scelta di attribuire rilevanza costituzionale all'obbligatorietà dell'azione penale trovò unanime adesione all'Assemblea Costituente, sia per dare attuazione al fondamentale principio di eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, sia, appunto, per evitare applicazioni discriminatorie della legge penale a seconda dell'appartenenza politica degli autori dei reati. Bruciante era la memoria storica non solo della "parzialità" del pubblico ministero durante il regime fascista, ma anche degli scarsi, se non inesistenti controlli di legalità nei confronti degli esponenti del ceto di governo e della pubblica amministrazione nel corso del cinquantennio dello Stato liberale. bbligatorietà dell'azione mM penale non significa peraltro che il pubblico ministero debba necessariamente procedere ogni qualvolta viene a conoscenza di una notizia di reato. Vi possono essere notizie infondate o scarsamente attendibili, ovvero nei cui confronti è impossibile raccogliere convincenti elementi di prova: in tali situazioni il rispetto del principio di legalità impone che il pubblico ministero non possa disporre da solo l'archiviazione del caso, ma debba sottoporsi al controllo giurisdizionale, in modo che il giudice, ove non concordi sulla richiesta di archiviazione, possa disporre che si proceda. Il controllo giurisdizionale sulla richiesta di archiviazione è l'elemento che con maggiore evidenza caratterizza i sitemi ad 66