conto della parallela evoluzione del dibattito culturale coinvolgente i rapporti tra Stato e società, tra Stato e mercato. Gli anni dal dopo guerra alla fine degli anni Settanta sono stati dominati da due culture economiche che profondamente hanno inciso sulle politiche economiche e sociali adottate dai vari paesi industriali dell'Occidente, spesso indipendentemente dalle posizioni ideologiche delle maggioranze al governo. Ci riferiamo in primo luogo agli indirizzi keynesiani di politica di bilancio, volti a individuare nella spesa pubblica, specie se finanziata da debito pubblico, il motore della espansione dell'economia, della produzione e dell'occupazione. Ed in secondo luogo alla realizzazione del cosidetto Stato Sociale, il Welfare State degli anglosassoni, con l'enfasi sull'espansione dei servizi sociali rivolti alla universalità della popolazione in condizioni di totale o quasi totale gratuità. Sono noti i caratteri di questo tipo di Stato: uno Stato dove è rilevante la regolamentazione pubblica, la produzione pubblica ed il finanziamento pubblico soprattutto affidato alle imposte sul reddito. Meno avvertiti sono i riflessi consapevoli o inconsapevoli di queste concezioni sui rapporti finanziari tra lo Stato e gli enti territoriali decentrati. Lo Stato keynesiano e lo Stato sociale sono Stati fortemente centralizzatoli. Secondo talune teorie (Musgrave, Oates) sia il controllo degli squilibri macroeconomici, sia le finalità redistributive non possono che essere ruoli del governo nazionale. In particolare per le finalità redistributive non si può non ricordare che più un sistema è decentrato, più il cittadino viene trattato diversamente, il che contrasta con le visioni egualitaristiche che hanno fondato lo Stato sociale. Ne deriva che è una incoerenza pensare di poter sposare l'uguaglianza di trattamento con l'autonomia regionale e locale. Autonomia implica necessariamente diversificazione e differenziazione. Per questo la Stato keynesiano e sociale è uno Stato fortemente centralizzatore. Si può osservare come questo tratto marcatamente centralizzatore dello Stato keynesiano e sociale si sia non solo e non tanto manifestato nei decenni del dopoguerra in una tendenza ad assumere dirette responsabilità gestionali da parte del governo centrale, e quindi con spostamento di competenze funzionali, quanto in una forte espansione del finanziamento centrale a carattere generale o settoriale. Alla sottolineatura delle insufficienze, inefficienze e distorsioni tecniche e anche politiche della fiscalità locale tradizionale si è voluto contrapporre il ruolo integrativo, sostitutivo, perequativo e di sostegno dei servizi locali, aventi rilevanza nazionale, della finanza basata sui trasferimenti centrali, la cosidetta finanza derivata. /o Stato keynesiano-sociale è non solo centralizzatore, ma, in coerenza con il suo carattere paternalista e protettore, è anche un grande elargitore, un grande elemosiniere. La crescita della spesa centrale di trasferimento verso famiglie, imprese ed enti di decentramento territoriale è una delle caratteristiche salienti dell'evoluzione della finanza pubblica post-bellica in tutti i paesi industrializzati. Inoltre la finanza derivata, come meglio si ripeterà in seguito, finisce per informare e condizionare le relazioni istituzionali e organizzative tra livelli di governo provocando una marcata integrazione verticale tra livelli amministrativi, secondo lo schema del cosidetto «federalismo cooperativo», agevolmente applicabile anche agli Stati non federali, come è il caso italiano. Com'è noto la crisi economica degli anni Settanta ha provocato profondi ripensamenti negli atteggiamenti culturali e nelle proposte politiche per quanto concerne i rapporti Stato ed economia. Stato e società. Varie scuole, come quella della «Public Choice», e teorie economiche, come quella dal lato dell'offerta, quella dell'organizzazione e quella dei diritti di proprietà hanno portato l'enfasi sulle motivazioni microeconomiche dei comportamenti dei vari operatori, cioè su motivazioni orientate al calcolo e all'opportunismo economico. Queste nuove concezioni economiche hanno prodotto non pochi ribaltamenti. In particolare lo Stato provvidenza, strumento asettico, parametrico e fedele veicolo dell'interesse pubblico, attraverso un serrato processo di endogenizzazione, cioè di analisi dal di dentro, si è riscoperto piuttosto delegittimato. Le politiche, che hanno preso corpo da questo ribaltamento, sono state diverse ma tutte dominate da analoghe preoccupazioni. La deregolamentazione, le privatizzazioni, nelle varie accezioni del termine, la modificazione nella struttura delle entrate, con la maggiore ricerca di neutralità del sistema tributario ed un più esteso ricorso a prezzi e tariffe pubbliche, sono tutte politiche nelle quali si è voluto riaffermare le ragioni dell'efficienza economica a scapito tal volta dell'equità. soprattutto nella versione egualitaristica del termine. utto questo non ha lasciateci ^T indenne il tema dei Wr rapporti tra Stato e enti di it decentramento territoriale, .si In particolare la minore rilevanza delle tematiche macroeconomiche e la riscoperta del ruolo degli enti locali nelle politiche redistributive, specie per quanto ot riguarda la fornitura di beni pubblici «meritori», come scuola e assistenza, hanno messo in crisi i pilastri della teoria tradizionale delle relazioni finanziarie tra livelli di ib governo. Queste revisioni della £ teoria tradizionale non sono tali il da aver prodotto una nuova concezione organica dei rapporti tra autorità centrali e livelli di autonomia. Si tratta tuttavia di un mosaico significativo, che si è concentrato in particolare sui limiti e sulle distorsioni provocati da una estesa finanza £ degli enti decentrati basata su trasferimenti centrali. Non è questa la sede per analizzare nel dettaglio queste critiche. Sarà sufficiente una rapida elencazione. Si è voluto dimostrare che la finanza derivata provoca inefficienze nel comportamento degli enti locali percipienti, o comunque non ne incentiva l'efficienza e il li grado di responsabilità. Questo è dovuto al cosidetto «effetto dei soldi degli altri»: a causa di questo lo sforzo di essere più efficienti non si risolve a vantaggio dei contribuenti locali, semmai dei contribuenti dello Stato. Si è inteso sostenere 3 che il finanziamento centrale delle attività degli enti locali, diversamente da quanto comunemente si sostiene, non è : un modo per controllare la espansione della spesa pubblica i locale, ma al contrario può essere una fonte della sua dilatazione. Inoltre la teoria economica dell'informazione può essere utilmente applicata alle relazioni Stato - erogatore (il principale) e ente locale - percipiente (l'agente) per rimarcare i possibili comportamenti opportunistici del secondo volti a deludere ed eludere gli intenti del primo. Infine nel cercare di spiegare il forte sviluppo della finanza dei trasferimenti centrali, sembrano < prevalere i modelli politici di interpretazione delle relazioni Stato - governi decentrati. In particolare la scuola della «Public Choice» ha stabilito una e stretta correlazione tra più decentramento, anche fiscale, e meno Stato (il Leviatano). E ancora la scuola del cosidetto «Rent-seeking» (lett. ricerca di rendita), partendo dalla constatazione di come facilmente si formino coalizioni i e collusioni intorno a istituzioni che hanno il potere di applicare 36