bosco sono diventati i fuori strada più
che gli insediamenti o le iniziative di
carattere economico. Quindi è cam­
biato tutto il mondo che cono­
scevamo.
Abbiamo avuto negli anni sessan­
ta un cambio notevolissimo della si­
tuazione del Paese con l’avvio di un
processo tumultuoso e non adegua­
tamente governato, ce ne rendiamo
conto tutti: l’industrializzazione di
aree del piano prossime ai centri ur­
bani e successivamente il mito della
città, il mito della sua modernità, l'e­
saltazione del consumismo, il crollo
delle tradizionali culturali locali. E
questo ha spopolato la montagna
delle sue energie e in tempi brevis­
simi di una quantità enorme di addet­
ti al settore agricolo, a quello della
manutenzione del suolo e dell’am­
biente.
Un modello di sviluppo che era fi­
nalizzato ad interessi economici, in­
teressi della grande industria, inte­
ressi dei gruppi che avevano la ne­
cessità di avviare questo processo.
Questo ha messo per primo in cri­
si la montagna. È una crisi dalla qua­
le lentamente ci stiamo risollevando
ma soprattutto poi ha finito per crea­
re delle città che sono sempre più in­
vivibili, dove per ovvia reazione è na­
to poi il fenomeno del verdismo radi­
cale, tendente a colpire le poche at­
tività economiche che sostengono le
residue popolazioni montane. Que­
sto è un dato chiaro. Se si aggiunge
poi che nel medesimo periodo l’indu­
stria forniva agli agricoltori della mon­
tagna macchine operatrici sempre
più pesanti, con vomeri che raggiun­
gevano sempre maggiori profondità,
che venivano meno quegli strumen­
ti che sono ormai relegati nei musei,
tipo le zappe, ci rendiamo conto che
il suolo ha avuto delle vicissitudini
che oggi paghiamo.
La natura ha ripreso pieno posses­
so di molti territori e opera non con­
trollata, o scarsamente controllata
dall’uomo, secondo i metodi e i ritmi
che le sono propri. Da un lato trasfor­
ma i terreni extraagricoli in aree ce­
spugliate, dove piano piano fa la
comparsa il bosco. Ricorderete due
anni fa l’inchiesta del Corpo Foresta­
le dello Stato, che improvvisamente
ebbe a scoprire due milioni di ettari
di bosco che risultavano catastal­
mente cultura agricola.
Il Corpo Forestale sta svolgendo,
per aggiornarla, la stessa inchiesta
in Liguria. I dati della Liguria danno
un incremento eccezionale, in po­
chissimi anni, ancora di altre aree de­
stinate a nuovo bosco o comunque
non più utilizzate.
Però, se guardiamo bene, la Ligu-

ria è sempre sotto, basta che piova,
da un lato c’è il bosco ma dall’altro
c’è la frana, c’è un mancato control­
lo dei torrenti.
I pubblici poteri come hanno cer­
cato di fronteggiare questi fenome­
ni? lo credo nel modo piu assurdo:
la regola è stata ed è tuttora alzare
gli argini a valle ma non provvedere
a monte. L'entità degli interventi di
sistemazione idraulico-forestale e
idraulico-agraria è precipitata a livelli
irrisori, trasferendo le risorse di quel­
la che era una saggia politica di pre­
venzione e manutenzione a quella
delle grandi, sempre più grandi ope­
re di difesa e di incanalamento dei
corsi d'acqua nelle pianure, fonte
questa di irreparabili danni ambien­
tali e idraulici preparatori poi dei di­
sastri che man mano successiva­
mente intervengono e in molti casi
anche occasione di corruzione e di
malavita.
Fenomeni recentissimi sono sotto
gli occhi di tutti e ne abbiamo viste
le risultanze. In compenso abbiamo
avuto in questo tema territoriale due
grandi ed attese riforme, lo dico tra
virgolette: la 183 sulla difesa del suo­
lo e la legge Galli per la tutela delle
acque.
Quest’ultima, per grazia di Dio,
non ancora attuata e che io temo lo
sarà per la scarsa comprensione che
purtroppo tutti noi abbiamo dei feno­
meni che indurrà, vale a dire la rapi­
na di fatto di una delle più grandi ri­
sorse della montagna, e che sarà go­
vernata, con finalità opposte a quel­
le dei nostri interessi, dai centri forti
della pianura e delle città.
E io richiamo ancora l’attenzione
della gente delle Comunità montane
sulla necessità che prima che sia
troppo tardi e che le Regioni legiferi­
no (alcune hanno già predisposto dei
testi di legge che sono preoccupan­
ti) io richiamo a voi tutti una attenzio­
ne e una vigilanza.
È ancora in sala l’amico Giacomel­
li, che come FEDERBIM ha attuato
un Convegno a Palermo pochi mesi
or sono e abbiamo avuto anche da
illustri esponenti della scienza, della
tecnica e del diritto, tutta una serie
di indicazioni che mettono in profon­
da crisi i concetti che sono stati alla
base della legge Galli.
La 183. Cosa ha prodotto la 183?
Finora grandi studi e poderose ricer­
che laddove le autorità di bacino so­
no state istituite, ma nient’altro do­
ve le autorità non sono state istituite.
Forse vale la pena a questo punto
di riflettere, essendo in un clima e in
un altro mondo rispetto a quello de­
gli anni passati, se queste grandi ri­
forme prodotte da una cultura illumi-

6

nistica compiaciuta di se stessa e tut­
to sommato però lontana dalla real­
tà degli uomini e delle cose, non va­
dano tutte necessariamente e oppor­
tunamente verificate.
Ora c’è qualche speranza di attua­
zione della 97 che per la montagna
va in un’altra direzione.
Noi abbiamo la necessità di con­
solidare una presenza attiva dell’uo­
mo nell’ecosistema della montagna
per riprendere man mano il control­
lo delle forze della natura e per dare
all’intero Paese un più alto grado di
sicurezza dalle calamità, un ambien­
te vivibile ed utilizzabile razionalmen­
te per la ricreazione, la cultura, lo
sport, il turismo, una permanente
fonte di prodotti e di nicchie di altis­
simo valore economico, sia alimen­
tare che dell’artigianato.
La montagna, dicevamo un tempo
a Torino, in una precedente assem­
blea, da problema a risorsa.
La 97 ha attuato quel progetto dal
punto di vista legislativo; ora si trat­
ta di attuare evidentemente la legge.
Queste verità che noi nella nostra
Associazione abbiamo più volte me­
ditato e cercato anche di realizzare,
vanno con pazienza, e senza mai de­
mordere, fatte intendere alla pubbli­
ca opinione delle città e delle aree
forti del Paese. Non basta che siano
note a noi stessi, perché in noi resta­
no e in noi rischiano di morire.
Il rapporto con il CAI — e ringra­
zio vivamente l’amico de Martin non
soltanto per la sua presenza di oggi
ma per il lavoro che abbiamo comin­
ciato a fare insieme — è in questa li­
nea ed è altamente positivo. Se noi
riusciremo ad usare anche la dispo­
nibilità del CAI, che ha accesso al­
l’opinione pubblica di altri ambienti,
delle città, di altri elementi, e riusci­
remo a coinvolgerli nella nostra poli­
tica, credo che riusciremo anche ad
avere qualche possibilità in più di far­
ci capire, di inserirsi nei mass-media
e di arrivare in ambienti che posso­
no valutare il valore strategico della
montagna per tutto il Paese.
Abbiamo sentito ieri le rivendica­
zioni del Presidente del CNEL De Ri­
ta. Le sue rivendicazioni fanno riflet­
tere. La montagna, ci ha detto De Ri­
ta, è sottorappresentata, le genti del­
la montagna non presentano o non
hanno (perché non presentano è un
problema ma se non hanno è anco­
ra peggio) un sufficiente livello di
identità.
Se leggiamo assieme queste due
affermazioni contenute nell’interven­
to di De Rita ci rendiamo conto che
c'è un campo di lavoro per noi da
scoprire e da cominciare a coltivare.
Noi abbiamo sempre lavorato sui