cità rispetto ai precedenti decreti de­
caduti nonché un più chiaro rappor­
to funzionale con il disegno di legge
di riordinamento del Servizio sanita­
rio nazionale, in discussione al
Senato.
Non può essere condivisa la pre­
visione della nomina regionale del
commissario, cui sono riservati tutti
i poteri di gestione, con la conse­
guente totale espropriazione dei Co­
muni da ogni funzione sanitaria. Ciò
quando, secondo quanto stabilito nel
citato disegno di legge n. 2375 Se­
nato, la nomima del direttore gene­
rale è proposta dal Consiglio di am­
ministrazione, espressione degli Enti
locali di riferimento territoriale. Tale
estromissione non è comprensibile
anche ai sensi della normativa vigen­
te (art. 13 legge n. 833/78) viste le at­
tribuzioni del Sindaco quale autorità
sanitaria locale. Inoltre la troppo ge­
nerica individuazione dei requisiti
professionali del commissario, in as, senza dell’albo nazionale previsto
I nel disegno di legge di riordino del
j Servizio sanitario nazionale per i di­
rettori generali (l’accesso al quale è
I regolato da ben più precisi e rigoro; si criteri), non realizza una risposta
adeguata alla ormai generalmente
avvertita esigenza di trasparenza,
moralizzazione e buon governo nel­
la gestione del sistema sanitario
i pubblico.
Il decreto legge in esame suscita
poi perplessità e dubbi interpretativi.
Ad esempio in ordine alle previsioni
di incompatibilità ed in particolare
quella tra la funzione di commissa­
rio e di consigliere comunale, consi­
derato che già in precedenza si era­
no da più parti sollevate perplessità
sull’inserimento in un decreto legge
di norme in materia di incompatibili­
tà, da collocare più opportunamen; te in un disegno di legge ordinario.
Dubbi interpretativi ed applicativi
suscitano invece le norme relative al­
l’identificazione delle assemblee dei
Comuni quali collegio elettorale dei
componenti del Comitato dei garan­
ti; quelle sullo scioglimento degli or­
gani in quanto svolgenti funzioni sa­
nitarie e quelle relative ai controlli su­
gli atti del commissario.

Comuni e
Comunità montane
j
!
i

inviate alla redazione di » Monta­
gna Oggi » informazioni e articoli
sulla vostra attività.
Le pagine della rivista possono
consentire un utile confronto di
esperienze.

SPECIE FORESTALI INFESTANTI
Riceviamo e pubblichiamo:

L’amico e collega dr Guido Conti nel numero 12/1990 di « Montagna Og­
gi » ha presentato alcune proposte per contenere lo sviluppo di specie ve­
getali considerate infestanti.
Mi complimento per l’ottima iniziativa di informare i lettori su un impor­
tante capitolo della selvicoltura. Tuttavia mi permetto di chiarire qualche
aspetto del problema che, per evidente motivo di spazio, non ha forse tro­
vato la possibilità di una sufficiente trattazione.
Gli arbusti considerati « dannosi agli interessi degli uomini », sono in realtà
dei vegetali colonizzatori che, come tutte le specie pioniere, possiedono spe­
cifiche capacità di insediamento e di miglioramento su territori carenti di fer­
tilità per motivi di carattere meccanico, fisico o chimico.
Questi vegetali possiedono alcune specifiche doti che altri vegetali, non
pionieri, non hanno. Presentano un temperamento spiccatamente eliofilo,
producono un numero molto elevato di semi leggeri, facilmente trasportabi­
li dal vento, sono poi estremamente plastici nel comportamento verso le con­
dizioni di terreno. Queste loro doti sono state provvidamente fornite da Ma­
dre Natura per favorirne l’insediamento su terreni difficili e per consentire
loro di vincere la concorrenza con altre specie più esigenti.
Questi vegetali rappresentano anche il primo importante gradino di quel­
le successioni vegetali che iniziano con gli organismi preposti prioritaria­
mente alla produzione di sostanza organica e terminano con i cosidetti
climax.
Quindi bisognerebbe valutare anzitutto l’opportunità di una loro radicale
distruzione, perché il loro allontanamento potrebbe anche essere un inter­
vento violento non ottimale, ai fini dello svolgersi di una naturale evoluzio­
ne che è propria di tutte le fitocenosi, spontanee o no.
Nel caso in cui si dovesse contenere il loro sviluppo, il dr Conti propone
di usare il piccone e il badile per sradicarli. Operazione sicuramente effica­
ce, ma costosetta.
Certo si spenderebbe di meno e si otterrebbero risultati più duraturi nel
tempo, se il contenimento delle infestanti fosse affidato ad altre specie fo­
restali. In questo caso il piccone andrebbe usato non per operare lo sradi­
camento di vegetali, bensì per piantarne degli altri. Infatti le specie sotto
accusa, sono tutte molto esigenti di luce (in particolare i rovi e le clematidi),
quindi scompaiono in tempi brevi sotto copertura. Meno facile è invece l'eli­
minazione naturale dei generi Driopteris e Polipodium delle Polipodiacee,
cioè delle felci, perché molto più igrofile delle prime.
Non mi sento invece di accomunare alle infestanti e quindi considerarle
« specie non utili all'uomo », anche la robinia e l’ailanto.
Infatti questi vegetali, pur avendo origini lontane da noi, possono a buo­
na ragione essere considerate italiane per « diritto di natura », perché si so­
no dimostrate talmente in sintonia con il nostro ambiente, da rinnovarsi ed
espandersi un po’ duvunque.
Entrambe le specie sono state, fin dai tempi della loro introduzione, di
grandissima utilità per i nostri montanari, fornendo ottima legna da ardere
e molti assortimenti di grande pregio. Il legno di robinia è servito per la co­
struzione di attrezzi da lavoro, per la costruzione di travature e puntelli di
sostegno per la sua resistenza all’usura. Attualmente si costruiscono con
il legno di robinia doghe per recipienti adibiti alla conservazione di bevande
alcooliche,
liste
per
pavimenti
ed
anche
compensati
e sfogliati con risultati non molto diversi da quelli ottenuti con altre specie
giudicate più nobili. Anche per l’ailanto si possono ripetere analoghe consi­
derazioni. Il suo legno è stato addirittura impiegato per la produzione della
carta, per manufatti della falegnameria e per usi domestici aziendali.
Tanto la robinia quanto l’ailanto si comportano secondo le innate disposi­
zioni specifiche di temperamento e quindi tendono a farsi spazio, ostaco­
lando lo sviluppo di altre specie più esigenti.
Il disinteresse sistematico degli uomini nella adozione di razionali sistemi
colturali e la frequente esigenza di applicare turni tecnici, sottovalutando
spesso la valutazione di parametri biovolumetrici, nelle utilizzazioni, può aver
allontanato i popolamenti in esame da modelli razionali.
In questo caso non si possono certo colpevolizzare gli alberi, ma se mai
solo gli uomini. Il dott. Conti è un giovane e brillante funzionario. Quando
avrà fatto più strada nel bosco, si accorgerà che l’attributo di « infestante »
è molto più specifico per gli uomini che non per le piante.

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