le valli torinesi CHE COSA E’ IL «MASO CHIUSO » A cura di EDOARDO MARHNENGO La lettera di un lettore l che ci espone il. problema della successione ereditaria di una azienda di , a • .—*—monlagna, che pubblichiamo in altra parte del noti noliziario, ci ha suggerito l idea di illustrare ------------- vin ,i questa rubrica il « maso chiuso », istituto fondiario, tipico dell"Alto Adige e del Tirolo Austriaco. In Alto Adige per « maso » si intende l'azienda agraria, particolarmente quella montana, e con il nome di « masi chiusi » si indicano quelle aziende che iscritte in una particolare sezione del libro fon diario hanno una apposita regolamentazione giuri dica. Questa regolamentazione prevede norme pre cise in merito alla indivisibilità dell’azienda, la preferenza del maschio primogenito alla successione, l'idoneità morale e fisica che deve avere tale erede nonché le particolari norme di materia di valuta zione dell'azienda per determinare la somma da corrispondere ai coeredi. Il sistema del « maso chiuso » che risale in Allo Adige ai primi insediamenti dei popoli germanici e si perde quindi nel tempo, corrisponde nella sostan za ad una particolare concezione del diritto eredi tario che rende impossibile in certe condizioni la suddivisione testamentaria dell’azienda agricola tra piu. eredi. Questa indivisibilità della unità produt tiva è indubbiamente nata, prima ancora che leggi e regolamenti la codificassero da un vero stalo di necessità corrispondente a fini di ordine sociale. La natura montuosa del territorio richiedeva infatti che si salvaguardassero queste unità produttive frul lo di una faticosa colonizzazione come una vera e propria difesa dei risultati ottenuti attraverso la colonizzazione stessa. La codificazione giuridica di questo stalo di cose non fece che sancire una costumanza molto radicata tra le popolazioni e prova di questo è che in altre regioni austriache, non di montagna, ove attorno al 1780, vennero imposti tali vincoli, gli stessi non ebbero vita lunga proprio perchè mancavano del consenso della popolazione. Altra prova del convincimento delle popolazioni tirolesi sulla opportunità dell istituto del « maso chiuso » la si ebbe quando lo stesso venne abolito con un decreto nel 1928 per essere nuovamente instaurato con una legge regionale nel 1954. In questo periodo di carenza legislativa non si ebbero che scarsissimi e isolati casi di violazione delle norme secolari. La prima regolamentazione giuridica del « maso chiuso » che si conosca, risale agli ordi namenti provinciali tirolesi del 1404, cui fecero seguilo le patenti dell’imperatrice Maria Teresa di Austria nel 1770, la patente di Francesco 1° del 179b fino ad una nuova legge imperiale del 1889 che autorizzava le regioni ad elaborare particolari norme sulla materia ciascuna per il proprio terri torio. Di questo potere si avvalse la Contea del 1 irolo nel 1900 con la emanazione di una legge ine rente la regolamentazione del « maso chiuso ». Questa legge costituì la base di quella già citata del 1954 che modificata successivamente nel 1956 costituisce ancora oggi la norma che regola la ma teria. Questa legge in sostanza stabilisce la proibi zione a tutte quelle divisioni e modificazioni nella consistenza deirazienda che portano a creare unità produttive incapaci di vita autonoma e di mante nere un minimo di cinque persone mentre è am messo che il « maso » abbia una ampiezza tale da. consentire il mantenimento, al massimo, di venti persone. Ovviamente la legge prevede i diritti dei coe redi nel senso che il padre, scelto il figlio al quale passerà in successione il maso, generalmente il ma schio primogenito, dovrà provvedere alla sistema zione degli altri figli compatibilmente con le pos sibilità della famiglia ed all’ambiente economico e sociale esterno. Questa situazione potrà realizzarsi attraverso allo avviamento degli altri figli alle scuole superiori od ad altre attività economiche. All’atto del passaggio di proprietà l’assuntore del maso dovrà inoltre cor rispondere ai coeredi una liquidazione in quota del l’eredità paterna. Naturalmente il verificarsi di questa condizione porterebbe soltanto ad una pura questione di scelta tra il fondo ed il corrispettivo in capitale ma qui la legge interviene prevedendo per il « maso » una valulazione di favore, tale da consentite all’assuntore, una certa facilitazione nella liquidazione dei coeredi, « Le norme relative ad una valutazione di comodo del maso — scrive Danilo Agostini in un interes sante studio sul maso chiuso — con valutazioni di gran lunga inferiori a quello di mercato, erano indubbiamente sagge perchè permettevano di con servare una classe rurale economicamente forte, capace di attuare in parte una agricoltura lontana dalle forme marginali che sono invece retaggio fre quente di tante altre contrade del paese. Questi vantaggi, squisitamente economici, consentivano al figlio privilegialo di non essere posto nella neces sità di alienare parte del patrimonio ereditalo per far fronte alla liquidazione dei. coeredi ». E’ chiaro che in ogni cosa, al lato positivo quasi sempre corrisponde un lovescio non sempre accet tabile. In questo caso, là dove più fratelli non trovino diffeienti sistemazioni, liquidati con un compenso non rapportalo al reale valore del fondo, spesso finiscono col restare sul maso in qualità di salariali aggiungendo alla rinuncia a parte del pa trimonio, una specie di sottomissione al fratello privilegiato. E’ un istituto quella del « maso <chiuso » che affermando il diritto della comunità sui quello individuale, può prestarsi a non poche discussioni; cer to si è che, i risultati che se ne conseguono sono più che apprezzabili e nessuno può meglio apprezprezzarh che non gli uomini della montagna vit time del continuo sgretolarsi della proprietà fondia ria. Certo nel Tiralo, il formarsi di una disciplina del regime fondiario, ebbe ragioni che, come abbiamo già accennalo, si identificarono in un vero e pro prio stato di necessità che non consentiva molte scelte. In un periodo di colonizzazione della mon tagna prima non abitala, l'obbligo di non suddivi dere la proprietà può aver costituito un incentivo ad ulteriore sfruttamento di altre terre, mentre a colonizzazione compiuta, l’esperienza e la tradizione avranno costituito una pressione psicologica diffi cilmente scalzabile. Concludendo queste sintetiche note su un argo menti che meriterebbe, per il suo interesse, ben altro spazio, possiamo affermare che l'ordinamento fondiario del « masso chiuso » può accettarsi o meno come principio, ma ha in concreto costituito, per la regione dove è applicato una eccellente salvaguardia alia polverizzazione della proprietà con tutte le conseguenze positive ad essa connesse. Fauna montana di interesse venatorio LA MARMOTTA La marmotta, classico, e caratteristico abita tore delle nostre Alpi, vive nella fascia montana tra i 1800 ed i 3000 metri sul livello del mare, fra pietraie intercalate da declivi erbosi dove più non crescono nè alberi nè cespugli. La pelliccia è di colore grigio chiaro ed il cor po è tozzo, con zampe brevi, dotate di unghie lunghe e robuste atte a scavare con facilità il terreno. Il suo nutrimento allo stato selvatico è esclu sivamente costituito da erbe e semi, mentre in cattività si nutre volentieri di frutta, verze, pane, granoturco e carne. E’ animale diffidente ed accorto, dotato di udi to eccellente; è sempre pronto a correre, al pri mo accenno di pericolo, verso la vicina tana a cgì deve sovente la salvezza. Al passaggio dell’uomo la marmotta emette un fischio potentissimo atto a mettere in allarme ed a fare conseguentemente rintanare tutte le compagne della zona. Vive in colonie di 5-10 individui, e tale nume, ro generalmente aumenta in autunno, quandi, si radunano per trascorrere l’inverno in letargo in 5 una stessa t?na, le ime accanto alle altre arroto late nel fieno. La tana è costituita ria più gallerie che con vergono generalmente ad un’unica apertura, che viene chiusa con pietre e terriccio prima di ini ziare il lungo letargo invernale. Il letargo inizia generalmente entro la prima decade di otto bre, per terminare entro la prima decade di’ maggio. Tale durata è però variabile, essendo naturalmente il rapporto all’altitudine (cne va ria la temperatura dell’ambiente) nonché alla quantità di grasso cne la marmotta ha accuinulato in corpo dorante i mesi estivi. Durante il letargo tutte le funzioni vengono rallentate; i battiti del cuore e gli atti respirateti diminuiscono notevolmente e la temperatura del corpo si riduce a 1G-12 gradi circa. Con la primavera, quando la neve si è quasi totalmente sciolta, la marmotta si sveglia da* lungo letargo ed esce dalla tana. E’ questo il periodo più critico dell’anno: ma grissima, con i muscoli ancora privi della neces saria elasticità cade facile preda dell’aquila e principalmente della volpe. Nella seconda quindicina di maggio, quando la marmotta ha ripreso la sua piena efficienza fi sica, avvengono gli accoppiamenti e le femmine, dopo 35 giorni di gravidanza, partoriscono nel fondo della tana che le ospita da 3 a 5 piccoli. I piccoli, che nascono con gli occhi chiusi, non escono dalla tana per iniziare la nutrizione con erbe se non dopo una ventina di giorni. La marmotta è un selvatico poco prolifico in quanto la femmina partorisce una sola volta all’anno, e, a detta di molti, è atta alla riprodu zione solo al terzo anno di età. La caccia di questo selvatico interessa un ri stretto numero di appassionati, e si svolge esclusivamente « all’aspetto » ; il cacciatore, cioè, si apposta dietro a ripari in pietrame, muniti di feritoia ed appositamente costruiti in prossimità delle tane. A sensi dell’articolo 38 del Testo Unico la cac cia e la cattura è vietata durante il letargo; le carni sono commestibili solo se depurate dall’ab bondante quantità di grasso. II grasso, che con il calore si trasforma in olio, viene raccolto ed usato, particolarmente dai mon tanari, contro ogni sorta di mali. M. V. LE VALANGHE Su qualunque pendio che abbia una inclinazione maggiore di 20u può cadere la valanga. Nelle re gioni alpine la neve raggiunge alle volte, in un anno, l'altezza di 10 e più metri. Si deposita strato su strato; quando il peso della neve fa sì che la forza di gravità superi la forza dell'aderenza, lo stra to superiore comincia a slittare; slittando trascina con se altra neve sottostante. La valanga aumenta rapidamente di dimen sioni e di velocità. Nel momento in cui la forza di gravità è uguale a quella di aderenza basta un impulso minimo a dare inizio allo slittamento : un alpinista, uno sciatore che attraversi il pendio, la caduta di un sasso, perfino un rumore. Gli esperti . della montagna vietano ogni grido e ogni discorso a voce alta e proibiscono agli sciatori di battere gli sci uno contro l’altro, per farne cadere la neve attaccata. Le valanghe più grandi si formano di solito in primavera quando il disgelo allenta la presa del ghiaccio. Spesso raggiungono velocità superiori ai 160 km. l’ora, c si è calcolato che alcune valanghe alpine contenessero circa 5 milioni di tonnellate di neve. Una valanga grande e veloce dà origine a un vento pauroso, tanto forte, a volte da spazzare via case ed alberi come leggeri fuscelli. Gli abitanti delle montagne sanno molto bone quali pendìi sono soggetti al pericolo della valanga ed in quale epoca. Collocano quindi i loro villaggi c le loro malghe nei punti in cui la configurazione del terreno può deviare il percorso della valanga. Gli edifici espósti inevitabilmente al pericolo ven gono costruiti in modo da presentare uno spigolo verso il declivo pericoloso perchè la neve si divida e passi ai due lati. Una persona che si trovi diret tamente sul percorso di una valanga purtroppo non può far nulla per salvarsi. Se invece è sulla valanga stessa può lasciarsi trasportare a valle distéso su pino c cercando ili spostarsi, con movimenti natatori verso il margine della valanga. La più grande catastrofe della neve, negli annali della montagna avvenne durante la grande guerra