la guida Ce lo additarono, lì, sulla terrazza del rifugio. Era chino su un sacco da montagna, intento ad armeggiare con un paio di ramponi assicurati all'esterno del sacco con i legacci di canapa. Esile, le ginocchia tese: vedevo sotto la pelle degli avambracci nudi, vibrare muscoli e nervi. Ci avvicinammo: — Ve la sentireste di portarci domani alla Zumstein? —. Piegò II viso verso di noi senza ergersi e stette a guardarci di sotto in su, senza risponderci. Mi colpirono gli occhi vivissimi, biancheggianti nel viso scabro, arso dal sole: avevano un non so che di tagliente. Sulla bocca apparve, e di sparve. una smorfia amara di disappunto. Era un tipo scostante, non mi piaceva. Tentai di sganciarmi, ed aggiunsi: — Se siete impegna to, non importa. Sarà per un'altra volta —. Armeggiò ancora un poco nel sacco, senza scomporsi e finalmente si rizzò. Collo sguardo lontano che si perdeva nel vuoto, soppesando colla mano sinistra i ramponi: — Quanti sie te? — chiese con voce dura. — Tre —. — Sie te attrezzati? —. —■ Sì.,., credo...—. Ebbe un gesto improvviso di stizza e poi, scuotendo la destra davanti a sé, come per troncare un di scorso troppo lungo: — Domani, alle quat tro! — disse. Ora che l'impegno era preso, ebbi paura ed avrei voluto acquietare la mia inesperienza con qualche assicurazione e riten tai: — Credete che saremo in grado... —. Ci aveva già voltato le spalle per allontanarsi e, volgendo la testa, con voce dura ed imperiosa come un padrone che dà un ordine ad un servo negligente: — Alle quattro! Si parte alle quat tro! — Ripetè. E disparve all'interno del rifugio Ci guardammo allibiti. Non ci piaceva. Non lo incontrammo più nel rifugio, la sera. Quella notte non dormimmo. Una tensione, un'appren sione non ci lasciava prendere sonno, nono stante la stanchezza. Al primo approccio, quel l'uomo aveva come spezzato il legame di fra ternità che unisce la gente di montagna. Lo ritrovammo al mattino, alle quattro in punto, già pronto per la partenza, rabbuiato in volto. Grugnì qualcosa al nostro apparire. — Siamo pronti — gli dicemmo — possiamo andare —. Si avviò per primo col passo ritma to, lento, sicuro, dell’uomo abituato alla mon tagna e gli tenemmo dietro. Senza una parola ci legò in cordata: anche noi non avevamo voglia di parlare. Cominciammo a salire. Il tempo era bello, l'aria gelida, viva. La notte stava scolorando ed un vago chiarore, anziché diffondersi dall'alto, sembrava emana re dall’immensa distesa di ghiacci. Non una voce, non un fremito: solo lo scricchiolar della 14 Traccohto neve sotto la suola dei nostri scarponi ed un leggero frusciar di ghiaccioli che il vento fa ceva rotolare sulla china. Ero l'ultimo della cor data: guardando i miei compagni, dinnanzi a me, capivo che ciascuno si studiava di ritma re il suo passo con quello della guida. Cammi nava lento, implacabile, senza apparente fatica, zigzagando sul pendio alla ricerca dei tratti più facili. Mi accorsi che conosceva a memoria la presenza di ogni crepaccio poiché, prima ancora di avvistarli, era pronto alla sicurezza, avvolgendo più giri di corda alla sua picozza. Camminammo in silenzio per un tempo interminabile. Si era ormai fatto giorno e solo qualche ombra stagnava ancora giù, nelle pie ghe delle valli. Eravamo affranti ed avremmo voluto fermarci, un momento almeno, a pren der fiato. Non so come, ma la nostra guida se ne accorse e si arrestò su un breve pianoro. Volse per la prima volta il viso verso di noi e. per la prima volta, lo vedemmo sorridere. Ma era un sorriso amaro, triste, fugace quanto il balenarne di un lampo. Ci parve dettato non da un sentimento di solidarietà e di incoraggia mento, ma da un senso di stanca sopportazio ne. quasi di scherno. Sembrava aspettarci con malcelata impazienza, freddo, immobile, super bo delle sue energie e della sua agile taglia. Pochi minuti di sosta e ne approfittò per togliersi la stinta giacca a vento e rimase in maniche di camicia. Raccattò la corda che av volse, con mano nervosa, in lunghe spire e. con un gesto del capo secco, imperioso, ci fece cenno di proseguire. Riprendemmo a salire. Il sole ci scendeva ora incontro dalle cime più alte del Rosa, ri splendeva sulle lucenti corazze di ghiaccio e finalmente ci avvolse colla sua luce calda. Non ci dava fastidio: l'aria leggera e pungente ne mitigava l’ardore. Finalmente, superata l’impo nente spalla del Liskamm, ecco spiegarsi di nanzi a noi. improvviso, l’infinito accavallarsi delle giogaie delle valli svizzere e, troneggiante su tutte per la sua eleganza, la cuspide del Cervino. — Guardate laggiù! — ci disse. E la sua voce risuonò limpida, chiara, ferma. Ten dendo la picozza avanti a sé, con un ampio e solenne ruotare del braccio, additava ai nostri occhi lo spettacolo superbo che ci si apriva di nanzi. Nel suo gesto c'era qualcosa di vivo, di caldo; cera un senso di così cordiale entusia smo, come se ci avesse fatti partecipi di qual cosa di suo. Eravamo stupiti e rapiti, senza una parola, senza un moto che tradisse uno solo dei mille e mille pensieri che vagavano per la nostra mente. Ci fermammo a lungo, affasci nati. coll'animo sgombro da ogni umana solle-