F. Varetto

previsionale, salvo la quota di mercato, il cui contributo predittivo appare significativo; lo stesso
vale per il valore di mercato dell’impresa, variabile che identifica la dimensione aziendale, che è
interpretabile come proxy delle economia di scala; il ROE del periodo corrente è un notevole
predittore del futuro ROE; inoltre il ROE mette in evidenza un pattern di mean reversion. Per
superare la critica evocata da O’Hanlon, citato in precedenza, di mancanza di ancoraggio
dell’analisi della profittabilità ad un modello teorico della valutazione dell’impresa, gli autori
hanno fatto riferimento al noto modello di Ohlson (1995) che collega in modo lineare il prezzo
azionario (P) al valore contabile per azione (bv) e agli abnormal earnings attesi [E(ni)]: 𝑃𝑃𝑡𝑡 =
𝑎𝑎
−𝜏𝜏
𝑏𝑏𝑣𝑣𝑡𝑡 + ∑∞
𝜏𝜏=1(1 + 𝑟𝑟) 𝐸𝐸𝑡𝑡 [𝑛𝑛𝑖𝑖𝑡𝑡+𝜏𝜏 ], da cui definendo il ROE come nit/bvt-1 si ha 𝑃𝑃𝑡𝑡 = 𝑏𝑏𝑣𝑣𝑡𝑡 +

−𝜏𝜏
∑∞
𝜏𝜏=1(1 + 𝑟𝑟) 𝐸𝐸𝑡𝑡 [(𝑅𝑅𝑅𝑅𝐸𝐸𝑡𝑡+𝜏𝜏 − 𝑟𝑟)𝑏𝑏𝑣𝑣𝑡𝑡+𝜏𝜏−1 ]; dividendo entrambi i membri per il valore contabile

per azione si ottiene

𝑃𝑃𝑡𝑡
𝑏𝑏𝑣𝑣𝑡𝑡

−𝜏𝜏
= 1 + ∑∞
𝜏𝜏=1(1 + 𝑟𝑟) 𝐸𝐸𝑡𝑡 �(𝑅𝑅𝑅𝑅𝐸𝐸𝑡𝑡 − 𝑟𝑟)

𝑏𝑏𝑣𝑣𝑡𝑡+𝜏𝜏−1
�,
𝑏𝑏𝑣𝑣𝑡𝑡

in cui r è il tasso di

rendimento richiesto dagli azionisti (per semplicità, non stocastico ed unico per tutte le imprese).
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L’analisi delle caratteristiche evolutive degli indicatori di bilancio (ratios) rappresenta un’area
di approfondimento delle problematiche delle serie storiche contabili di estremo interesse che
sotto più aspetti si differenzia da quanto visto in precedenza. Poiché l’ottica di questa ricerca
riguarda la dinamica delle serie storiche dei dati contabili, qui non viene presa in considerazione
la vasta letteratura sulle caratteristiche delle distribuzioni 57 cross-section degli indicatori. I valori
degli indicatori di bilancio possono essere messi a confronto con i valori assunti dalla stessa
impresa nel passato, con valori medi dei peers, con valori medi di settore (eventualmente
segmentato per area geografica e classe dimensionale), con valori-target assunti come traguardo
a cui tendere. Il riferimento essenziale su queste problematiche è Lev (1969) che assume che il
target adottato dalle imprese corrisponda semplicemente con la media 58 di settore; in altri termini
vi sono costi, anche se non evidenti, per l’impresa che ha i propri ratios fondamentali
sistematicamente o temporaneamente differenti da quelli tipici del settore in cui opera, cioè costi
per essere al di fuori da livelli di equilibrio e che spingono il management ad intraprendere azioni
per riportarsi verso il target; deviazioni eccessive dalla media di settore sono considerate
inammissibili; la media di settore riveste il ruolo di punto di equilibrio del sistema delle imprese
che vi operano; spesso anche gli analisti finanziari esterni considerano le medie di settore come

57 Le ricerche sulle cross-section degli indicatori di bilancio sono moltissime ed esulano dagli obiettivi di questo lavoro.
A titolo di esempio si veda Daske et al. (2006) che mette a confronto le distribuzioni di campioni di imprese appartenenti
all’Unione Europea (a quell’epoca comprendente anche il Regno Unito) con campioni di società USA. Le imprese
europee sono state segmentate in quattro grandi sottoinsiemi a seconda della fonte dei principi contabili adottati per la
redazione dei bilanci (standard anglosassoni, piano contabile uniforme, codice civile, paesi scandinavi): per i dettagli
si rinvia alla pubblicazione.
58 Un opportuno approfondimento dovrebbe riguardare la definizione di media di settore: tra cui semplice (con
l’inevitabile presenza di outliers), ponderata (che assegna maggiore peso alle società più grandi), geometrica (in cui i
valori piccoli sono più influenti di quelli grandi), armonica (influenzata significativamente dagli outliers piccoli e meno
da quelli grandi), di potenza, mediana. Ciascuna di esse ha proprie peculiarità e si presta a sintetizzare in modo diverso
l’insieme delle osservazioni considerate.

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