SCIENZA ECONOMICA, FINANZA, COMMERCIO, BANCHI, FERROVIE INTERESSI PRIVATI Anno XIII - Voi. XVII Domenica 5 Dicembre 1886 N. 657 La denuncia dei trattati di Commercio Abbiamo promesso ai nostri lettori di esprimere e giustificare il nostro pensiero sulla denuncia o meno dei trattati di commercio colla Francia e coll’Au-stria-Ungheria, ma abbiamo voluto, prima di tutto, cercare quali fossero le condizioni del nostro commercio internazionale e verso la Francia e verso l’Austria-Cngheria per vedere come si raggruppassero i prodotti che noi mandiamo e che riceviamo dalle due vicine nazioni. I risultati sommari dell’esame, che abbiamo compiuto con ogni scrupolo, ci mostrarono che la nostra importazione così si divide: dalla Francia dall’Aust.-Ungh (in milioni) (in milioni) 1. Prodotti agricoli 12 57.6 2. Prodotti annessi all’agri- coltura........ 12 32. 6 3. Materie prime .. . 94 36. 6 4. Manufatti....... . 102 36.8 5. Altri prodotti tra cui i co- loniali......... 70 63.4 La esportazione italiana invece presenta : verso verso la Francia l’Aust.-Ungh, (in milioni) (in milioni) f. Prodotti agricoli. . 105 28. 4 2. Prodotti annessi all’agri - coltura........ 189 7. 7 3. Materie prime .. . 15 21.3 4. Manufatti....... . 20 16. 1 5. Altri prodotti .. . . 38 19.6 Complessivamente adunque si avrebbe nelle due correnti il seguente movimento : Importazione Esportazione 1- Prodotti agricoli...... 69. 6 133.4 2. Prodotti annessi all’agri¬ coltura ............. 44.6 196.7 3. Materie prime........ 120. 6 36.3 4. Manufatti............ 138.8 36. 1 5. Altri prodotti compresi i coloniali.......... 133. 4 57.6 Questo prospetto ci dimostra che le nostre importazioni di materie prime e di manufatti quasi si compensano, e quindi dobbiamo cercare di mantenere la libera importazione dei 120 milioni di materie prime, la quale è necessaria alla nostra industria, e di non impedire con dazi maggiori la importazione di 158 milioni di manufatti, i quali del resto pagano un dazio, entrando in Italia, superiore al 20 per cento in media. Rimangono quindi di fronte due cifre: la nostra esportazione di 330 milioni di prodotti agricoli od annessi alla agricoltura e la nostra importazione di I l i milioni per le mercanzie della stessa classe. In conclusione oggi noi abbiamo approssimativamente un benefìcio di 216 milioni di maggiore esportazione favorevole alla nostra agricoltura. Dinanzi a tale situazione, che risulta dalle cifre del nostro commercio, noi crediamo di poter affrontare con tutta convinzione e con fondamento di logica la domanda : — deve l’Italia desiderare la denuncia dei trattati di commercio colla Francia e colFAustria-Ungheria ? L’Economista non ha bisogno di dire che non vien meno e verrà mai meno al principio del libero scambio; ma se in un libro od in un articolo scientifico avrebbe ragione di essere, anche ora. una dimostrazione della assurdità dei dazi di confine e del danno che dai dazi stessi deriva di fronte alla situazione attuale, noi riconosciamo francamente che una trattazione teoretica della questione sarebbe oziosa, verrebbe anzi, con lauta prevalenza delle idee protezioniste, accolta sfavorevolmente come inopportuna. Rimaniamo quindi in quel campo che viene chiamato pratico e, ammessi i trattati di commercio come un regime meno peggiore del sistema proibitivo, esaminiamo brevemente la questione. La denuncia dei trattati di commercio viene dimandata non solamente da coloro che apertamente professano idee protezioniste, ma anche da molti che pretendono di essere liberisti. È ben vero che oggi, come argutamente ci diceva giorni sono un autorevole nostro amico, è diventato vezzo generale di dichiararsi liberisti in teoria e protezionisti in pratica, e che un industriale il quale si reca dal Ministro per chiedergli un dazio protettore contro i prodotti similari che vengono dall’estero, comincia il suo discorso dichiarandosi libero scambista. — Ma se dobbiamo credere cosa ben naturale che i protezionisti, o meglio quelli che hanno un interesse individuale da far valere, domandino la denuncia dei trattati di commercio nella speranza, più o meno fondata, ma certo nel vivissimo desiderio di escludere o rendere più difficile almeno la concorrenza stessa, dovremmo per la stessa ragione credere che coloro, i quali pretendono di essere in teoria liberisti, domandino la denuncia per lo scopo contrario, cioè nella speranza od almeno nel desiderio di stipulare nuovi trattati, i quali stabiliscano dazi di confine meno alti di quelli che attualmente sono in vigore. Pur troppo, tuttavia, se questo dovrebbe essere l’or-