L’ECONOMISTA
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7 maggio 1893
nata di otto ore o qualsiasi altra riforma, non hanno punto bisogno di farlo a giornata (issa con una solidarietà mondiale, che mal s’addice alla diversità dei loro interessi e alle differenze innegabili che vi sono nella loro condizione.
   Si può aggiungere che la dimostrazione del 1° maggio è dannosa perchè è una minaccia all’ordine pubblico, un pericolo, vero o immaginario die sia, per i governi e per le classi abbienti e tutto ciò invece di dar impulso al lavoro, di stimolare il capitale a cercare impiego nelle industrie, lo distoglie da esse per riversarlo sui titoli pubblici, nei quali il minore interesse è compensato dalla maggiore solidità.
   È lecito quindi rallegrarsi che gli operai stessi abbiano desistito dall’agitarsi a giorno fisso, in modi e con forme talvolta persino poco civili, in favore delle riforme eh’essi credono loro interesse di domandare. Non sono le agitazioni socialiste che ridurranno la giornata di lavoro nelle varie imprese, ma gli esperimenti come quelli che si stanno compiendo in Inghilterra e di cui diamo più innanzi, in questo numero, un esempio.
   Come sarebbe assurdo esigere da tutti gli operai, qualunque sia la loro capacità, la loro forza e simili, una pari quantità di lavoro, cosi sarebbe assurdo l’imporre loro un limile identico alla durate del lavoro. Si comprende che là dove per la specialità del lavoro faticoso si dimost ra necessaria una diminuzione di ore di lavoro, gli operai si uniscano e facciano di tale riduzione una questione fondamentale. Ma che si voglia per legge e con una misura identica fissare il limite alla operosità produttiva dell’uomo, non si può spiegare se non col disordine delle idee che predomina, nella società contemporanea. Economia, morale, diritto, politica eec., subiscono oggidì gli effetti di quel disordine, riflettono lo stato di incertezza somma, nel quale si trovano le menti sulle più vitali questioni e perciò assistiamo alle contraddizioni apparentemente più inesplicabili.
   Una delle ultime di tali contraddizioni l’ha offerta il signor Gladstone proprio sulle otto ore di lavoro. Avversario fino a pochi giorni fa di qualsiasi legge che fissi a otto le ore di lavoro, anche nel caso dei minatori, l’illustre uomo di Stato si è invece dichiarato favorevole al bill pei minatori e il suo appoggio ha fatto sì che il progetto venisse appro-yato dalla Camera dèi Comuni in seconda lettura. È probabile ch’esso diventi legge fra non molto e ciò non produrrà nell’ industria mineraria cambiamenti molto sensibili, perchè anche presentemente la giornata di lavoro se non è di otto ore, la supera di ben poco e in qualche caso è anzi inferiore; ma l’approvazione di una legge per i minatori darà un argomento nuovo e certo grave ai fautori della legge generale sulle otto ore di lavoro. L’agitazione calmata dalla parte dei minatori, soddisfatti nella loro domanda (non tutti però, perchè vi è una parte dei minatori che non vogliono la legge, vedi il N° 9 >1 ' dell 'Economista) riprenderà il massimo vigore nelle altre industrie e le distinzioni e la casistica che il signor Gladstone o i suoi successori adopreranno, non serviranno certo a convincere gli operai che in un caso la legge delle otto ore sia buona e utile e in altri casi no e debba essere respinta quasi con orrore.
     11 signor Gladstone ha cambiato parere anche nella questione della giornata di lavoro pei minatori e avrà avuto le sue buone ragioni, che potremo
esaminare in altro momento; ma è certo che se il bill, al quale ha dato la sua approvazione, diventerà legge si accorgerà facilmente che una volta entralo su quella via la logica e la realtà delle cose gl’im-pediranno di arrestarsi. Forse che sarà diffìcile provargli che vi sono altri lavori ben più gravosi e dannosi alla salute di quelli che si compiono nelle miniere e che quindi le otto ore vanno applicate in questa o quella industria? Niuno, per poco che conosca il mondo industriale, può. dubitarne, e allora ? Come respingere agli uni che lo domandano con ragioni ancor più forti quello che si è concesso agli altri ?
   Comunque sia di ciò, tornando alla giornata del primo maggio, ci rimane da osservare, come notammo altra volta, che sarebbe un errore il credere dopo la abortita agitazione di lunedi scorso, che la questione delle otto ore e le altre consimili siano messe a tacere ; esse servono troppo bene- al partito socialista per tener viva la sua propaganda anti-economica e nei congressi e nella stampa non desisterà certo dal domandare quelle riforme. Spetta ai governi di compiere senza indugio le riforme economiche e fiscali che s’inspirano alla libertà e alla giustizia se vogliono togliere alle pericolose agitazioni socialiste il loro più efficace incentivo.
   IL 2° CONGRESSO NAZIONALE DELLE OPERE PIE
   li primo Congresso nazionale delle Opere Pie ebbe luogo nel novembre 1891 a Bologna, il secondo è stato tenuto dal 23 al 31 marzo u. s. in Firenze, e di esso, forzatamente in ritardo per l’urgenza di altre questioni, vogliamo ora rendere conto breve -mente.
   Era stato stabilito che il secondo Congresso delle Opere pie dovesse specialmente occuparsi della erogazione della beneficenza, mentre il Congresso di Bologna rivolse i suoi studi e le sue osservazioni alle norme che la legge 17 luglio 1890 ha determinato per l’ordinamento amministrativo delle Istituzioni di beneficenza. Ora, fra i temi più ampiamente discussi va accennato a quello dei Monti di pietà. Già fon. Rosano sotto segretario di Stato per gli affari interni nel suo discorso riconobbe « essere forse una delle più ardue questioni (quella dei Monti di pietà), che debbono essere discusse quando sarà modificata la legge sulle Opere pie. Il coordinare questi Istituti — egli disse — che sono nel tempo stesso Istituti di credito ed Istituti di beneficenza, il trovare la formola la quale separi l’uno dall’altro, in modo che l’uno non riesea di danno nè di nocumento ad’altro, il fare che essi possano svolgere liberamente la loro opera tanto utile alle classi meno abbienti è uno dei problemi be i gravi, che ora vi siete proposti e alla cui soluzione, non ne dubito, intenderete con intelletto ed amore ». Un’altro problema accennatone dall’od. Rosano, fu quello concernente l’applicazione dell’art. 47 della legge vigente relativo alla concentrazione straordinaria del patrimonio delle opere pie nella Giunta comunale, e quello degli inabili al lavoro non perfettamente risoluto d illa legge del 12 agosto 1890. Noi ci proponiamo di esaminare in articoli separati questi due argomenti dei Monte di Pietà e degli inabili al la-