Io ottobre 1893 L'ECONOMISTA 627 messe finanziarie, alle quali ormai nessuno più crede; tutti mormorano delle ingerenze del Governo sulla magistratura ; — e tutti egualmente si meravigliano che il Governo permetta alla magistratura di emettere sentenze, che sembrano un oltraggio al senso morale; — i Ministri con circolari, che sembrano delitti, forzano il senso del Codice penale, ed i magistrati supinamente obbediscono, condannando cittadini di nuli’ altro colpevoli che di aver imitato lo Stato, che incetta nelle sue casse le monete metalliche, mentre la legge lo obbliga al baratto ; — si minacciano i cittadini, perchè di fronte alla inerzia del Governo provvedono essi stessi al medio circolante mancante, ma poi, di fronte al disagio crescente, si mette in lacere la disposizione della legge 1874 e si lasciano qua e là circolare i boni. Da tutte le parti sale una marea pestifera di sfiducia, non nella abilità o nella capacità degli uomini che governano, ma nella loro stessa buona volontà; e la marea sale ed involge a poco a poco tutto e tutti, alti e bassi, altissimi e bassissimi. Fuori d’Italia, dovunque si vada, non si odono che dolorosi giudizi ; se di avversari, è un rinfacciarci orgoglioso del nostro sfacelo, se di amici, è un senso di rammarico per un paese che si perde. E non è soltanto il danno materiale pur gravissimo che dobbiamo rimpiangere, è [il danno morale immenso che questo stato di cose cagiona al paese. Quando questo sciagurato periodo sarà passato, e speriamo pure che passi, e finalmente si instaurerà un Governo che abbia per base la verità e la onestà dei propositi, occorreranno venti anni di lavoro indefesso per riedificare tutto ciò che all’interno ed all’estero in questi ultimi cinque anni venne distrutto, di simpatia, di fiducia, di speranze, di credito, di considerazione. Ed i nomi di coloro che, o colla esagerazione delle delle idee e delle aspirazioni, o colle vane querimonie non seguite da alcun saggio criterio, o colle audacie inverosimili hanno in questi ultimi anni sgovernato così malamente il paese e sciupata quella considerazione che pur si era acquistata, quei nomi rimarranno a designare un epoca nefasta e tremenda. Se non che, a guardarci intorno, cominciando dal più alto, vien fatto di esclamare: — Ma proprio nessuno pensa all’ avvenire, nessuno vede il pericolo, nessuno tenta di scongiurarlo? Se i nostri lettori ricordano tanti articoli che abbiamo scritti sullo stesso argomento, rammenteranno anche che fummo accusati di pessimismo molte volle, eppure dapprincipio non credevamo certo che si giungesse a tal punto di scoramento e di sfacelo. E siamo alla fine? LA CRISI DEL CARBONE IN INGHILTERRA e il progetto di fusione delle intraprese minerarie Lo sciopero colossale dei minatori inglesi non è ancora completamente cessato, e mentre da una parte si fa il calcolo delle perdite complessive che esso ha procurato alla classe dei minatori ed a quella degli esercenti la industria della estrazione del carbone, dall’altra si cerca un sistema di esercizio della industria, che soddisfi i vari interessati e li tolga dalla situazione insopportabile dell’ora pre- sente. La importanza che la estrazione del carbone ha nella industria inglese e la frequenza dei conflitti, così dannosi a tutto il complesso della vita economica, spiegano quelle ricerche e danno loro un carattere di interesse generale, che rende op -porluno di tenerne conto anche nelle nostre colonne. Un progetto che ha sollevato molto rumore e non poche discussioni è quello di Sir Giorgio Ellìot, diretto alla costituzione di un grande sindacato o trust del carbone. Egli mira a riunire, a fondere tutti gli interessi impegnati nella industria del carbone, a riunire sotto una sola direzione tutte le miniere di carbone del Regno Unito, e ciò non con lo scopo di stabilire un monopolio egoista, che tenda a favorire soltanto gli interessi dei proprietari. A suo credere la combinazione ch’egli propone dovrebbe procurare vantaggi all’ esercente l’industria della estrazione, all’ operaio, al consumatore, in breve a tutta la nazione. Egli invila tutti quelli che sono impegnati nella industria del carbone a cambiare le loro interessenze contro azioni ed obbligazioni d’una « Compagnia delle miniere unite ». United Coal Company, che si sostituirebbe ad esse e si incaricherebbe di esercitare tutti i giacimenti di carbone del paese alle condizioni che vedremo fra poco. Un terzo del valore delle loro proprietà dovrebbe essere pagato in obbligazioni e gli altri due terzi in azioni. Prima però di passare ai particolari del progetto, sir George Elliot ne dimostra la possibilità dal punto di vista finanziario e i vantaggi generali che si possono ritrarre dall’ esercizio in comune della industria. La produzione annuale del carbone nella Gran Brettagna ò attualmente di circa 182 milioni di tonnellate, le quali vendute al prezzo medio di 7 scellini e 3 denari producono la somma di 65,975,000 sterline. Da questo ammontare bisogna dedurre 54,600,000 sterline pel costo della estrazione, che è di 6 scellini in media la tonnellata, ciò che] resta, ossia 11,375,000 sterline, rappresenta dunque il guadagno ottenuto da tutte le miniere nelle presenti condizioni. Il 20 per cento della produzione è consumato dagli Stabilimenti siderurgici. Ma siccome una gran parte di questa quantità è prodotta dagli stessi proprietari degli stabilimenti metallurgici, che non avrebbero quindi alcun vantaggio a partecipare alla fusione, si può lasciare da parte questa proporzione e prendere come base la produzioue annuale di 145 milioni di tonnellate. Il complesso dei capitali che dovrebbero fondersi è calcolato a circa HO milioni di sterline, cioè un poco più del valore della ferrovia Londra e Western o di quella del Midland. Il capitale che rappresenterebbe il valore totale delle miniere di carbone della Gran brettagna sembrerà relativamente debole, se si considera che tutta la rete ferroviaria di quel paese è valutata circa 900 milioni di sterline. Ora, secondo il progetto dell’ Elliot non sarebbe necessario di trovare il capitale di HO milioni di sterline in numerario ; basterebbe trovare la somma necessaria per liberare le imprese minerarie dagli oneri che presentemente le gravano. A questo scopo si costituirebbe un sindacato di banchieri, ai quali i proprietari delle miniere cederebbero a prezzo convenuto un terzo al maximum delle obbligazioni che sarebbero loro attribuite. Queste cifre non hanno nulla di spaventevole e non costituiscono