180 L' ECONOMISTA 23 marzo 1902 ma anche la poca varietà della produzione nostrale. Se allude, e non abbiamo capito bene, alla produzione manifatturiera, transeat ; benché si potrebbe osservare che, sia pur limitatamente all' Italia settentrionale, non v' è quasi ramo di essa che non si cominci per lo meno a tentare. Ma se intende parlare anche dei prodotti del suolo, ci sembra si inganni. Come si può parlare di poca varietà in un paese che si protende bislungo tra climi semi-glaciali e climi semi-torridi che vede crescere gli alberi meno parenti fra loro, dall'abete al palmizio ; che coltiva qua risaie e là agrumeti; che produce grano, granturco, altri cereali, legumi, ortaggi, frutta, olio, vino, canapa, lino, seta, bestiame, latticini ; che è atto a coltivare più cho finora non faccia la barbabietola e il tabacco ; senza contare certe sue specialità come il marmo statuario, il borace, 10 zolfo? Manca, è vero, il carbone e scarseggiano molti metalli, ma dove è mai il paese che produca assolutamente tutto? Piuttosto è da lamentare che la produzione sia qualche volta troppo varia, e, anche per questo motivo, poco intensa. Ma forse il conferenziere avrà inteso parlare di quella produzione che sia notevole e abbastanza copiosa in ogni suo ramo e possa costituire materia di scambi, e saremo noi che non avremo afferrato la sottintesa limitazione del termine adoperato da lui. * * * Venendo dunque allo scambio dei prodotti, 11 Nitti si pone il quesito se il libero scambio possa adottarsi dall' Italia. E lo risolve negativamente, più che altro per la ragione, a dire il vero poco profonda, che oggi nessuno fra i grandi Stati, eccetto l'Inghilterra che è in condizioni speciali, è libero scambista. Egli dice che adesso tutti gli Stati tendono a equilibrare la produzione al consumo ; e sarà, ma come vi tendono ? Con mediocre oculatezza e mediocrissima sincerità. Se favorissero sempre e tutti il consumo interno e cercassero di proporzionare, la produzione ad esso e inoltre alla vera e naturale richiesta estera, le cose andrebbero meglio. Ma in realtà molti Stati agevolano assai poco il consumo interno e, per la fisima di far consistere 1' agiatezza nel vender molto senza comprare con equivalenza, spingono la produzione, con forte spesa dei propri amministrati, anche molto più in là della richiesta estera, e poi si maravigliano che altri faccia lo stesso, e si arrabattano per scongiurare o per sanare le crisi a cui hanno indirettamente cooperato. Gli Stati, che son poi composti di individui, vanno soggetti alle stesse aberrazioni degli individui singoli. Basti 1' esempio degli zuccheri. Oggi, con la recente convenzione di Bruxelles, è parso un gran fatto 1' abolire i premi di esportazione ; e tale è, come rimedio a spropositi commessi per l'innauzi. Ma perchè i premi erano stati stabiliti ? Perchè i più tra gli Stati produttori di zucchero avevano non già favorito il consumo inferno, mentre da per tutto i cittadini sarebbero, se fosse permesso, buoni e larghi consumatori; ma s'erano invece ingegnati, col danaro preso dalle tascho dei cittadini medesimi, a spingere la produzione fino allo sperato consumo. .. altrui ! Ora si accorgono d' avere fatto fiasco : eppure era cosa tanto facilmente prevedibile ! Riguardo all'Italia, è giusta l'idea di dare impulso alla produzione, perchè è certo che produciamo complessivamente poco, e quindi siamo, in media, miseri e denutriti consumatori, scarsi e non attivi trafficanti. Ma perchè la produzione, una volta cresciuta che fosse, non diventi por avventura esuberante in qualche ramo, o senza sfogo, ponderiamo beno con quali contraenti esteri ci poniamo e restiamo in relazione ed a quali patti. Dichiara il Nitti, e non a torto, che nel nuovo regime doganale bisogna tener sempre di mira il futuro sviluppo industriale dell'Italia del Sud, che è possibile e necessario, come vedremo poi. Frattanto però occupandosi specialmente della produzione delle provincie meridionali, che per i ra è soltanto agricola, egli opina che, senza pregiudizio di nuovi sbocchi, si deva cercare di conservare il nostro miglior mercato, cioè quel bacino commerciale di circa 150 milioni di uomini, d'onde facciamo le maggiori importazioni e dove trovano il maggiore sfogo le nostre esportazioni, costituito dalla Svizzera e dalle potenze della triplice alleanza. Non si dissimula le tendenze protezioniste di quegli Stati, ma — meno pessimista dell' on. Colaianni — spera si possa giungere a un'intesa soddisfacente, purché l'Italia faccia una politica generale sincera e reprima un tal quale spirito di avventure, che ora, giustamente o no, desta diffidenza. Tralasciamo qui per brevità l'enumerazione da lui fatta dei prodotti meridionali interessati nei trattati futuri. Notiamo invece che, come nuovi shocchi, egli addita la Russia, la Rumenia, e più assai l'America del Sud; pei quali paesi, come anche per le potenze centrali d' Europa, si diffonde, in base a largo corredo di esatti dati statistici, sulle concessioni contrattuali che all' Italia preme conservare, su quelle altre che le occorrerebbe ottenere, ma non sulla entità e sulla specificazione dei contraccambi eh' egli ammette — e come non ammetterlo ? — che all' Italia toccherà offrire o consentire. Non si astiene per altro dall' escluderne due: il giano e il petrolio. Pel grano, il Nitti confessa d' essere stato in addietro liberista, ma d'aver dovuto mutar pensiero. Lasciamo andare che è un po' strano ammettere per evidente necessità i contraccambi, propugnare lo sviluppo della nostra esportazione in Russia, in Rumenia e in America, e poi voler conservare i pesi doganali per 1' appunto sul grano. Interessa piuttosto conoscere il perchè della conversione di cui il Nitti fa cenno. E' il solito : perchè abolire il dazio sarebbe la rovina di intere provincie granifere, in quanto vi è impossibile o quasi la trasformazione delle culture. Siffatta impossibilità il Nitti si limitò nella sua conferenza ad asserirla, senza affatto dimostrarla, senza neanche accennare a qualche conosciuta ed esauriente dimostrazione che altri ne abbia data. Fin qui non ha fatto se non seguire