CONSENSO POPOLARE E LEGITTIMAZIONE DEMOCRATICA: LA MAGISTRATURA DI FRONTE AL CROLLO DEL REGIME di Guido Neppi Modona 1. La delegittimazione della magistratura e le proposte per diminuirne l'indipendenza negli anni Ottanta. Sino ai primi mesi di quest'anno, eravamo in molti a pensare che ci si dovesse preparare ad una difficile battaglia in difesa dei valori costituzionali dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura dal potere politico, messi in pericolo da un disegno riformatore «modernista», che riteneva incompatibile con le esigenze della «governabilità» continuare ad avere dei pubblici ministeri e dei giudici scollegati dal potere esecutivo. Le proposte in tale senso, maturate durante tutto il corso degli anni Ottanta soprattutto per iniziativa del PSI e dei giuristi gravitanti nell'area socialista, si sono mosse in diverse direzioni, accomunate peraltro dall'obiettivo unificante di delegittimare la magistratura nel suo complesso e singoli giudici particolarmente rappresentativi, per rendere poi plausibili, anzi necessarie, forme di controllo politico sulla magistratura, presentate come il rimedio indispensabile per ridare efficienza all'azione giudiziaria. In realtà questi due momenti non possono essere collocati in una precisa successione cronologica, ma si sono sovente sovrapposti ed incrociati tra loro. Quali aspetti qualificanti della campagna di delegittimazione indicherei il referendum del 1987 «per una giustizia giusta» in tema di responsabilità civile dei giudici e poi, durante gli ultimi due anni del suo mandato, le forsennate aggressioni dell'ex capo dello Stato Cossiga contro le funzioni del Consiglio Superiore della Magistratura, i linciaggi contro singoli giudici, da Felice Casson a Michele Coiro, gli attacchi contro i giudici «ragazzini», incapaci di condurre l'azione giudiziaria contro la criminalità organizzata. Dal canto loro, le proposte «riformatrici» hanno avuto come punto di forza il superamento del principio costituzionale di obbligatorietà dell'azione penale, premessa logica per porre il pubblico ministero alle dipendenze dell'esecutivo. Da un lato, infatti, il pubblico ministero, non essendo portatore di alcuna forma di rappresentanza democratica, non avrebbe potuto essere chiamato a rispondere politicamente delle scelte discrezionali in tema di esercizio dell'azione penale; dall'altro, la responsabilità per le scelte di politica criminale operate dal pubblico ministero non avrebbero potuto ricadere che sul governo, al quale dovevano dunque essere attribuiti poteri di controllo sul pubblico ministero. Per rafforzare la proposta è stata portata anche l'argomentazione che le risposte alle più gravi forme di delinquenza, a partire dalla criminalità organizzata, implicano questioni di indirizzo politico generale, tali da coinvolgere l'impegno del governo, e non potevano quindi sfuggire alla responsabilità dell'esecutivo. Il programma riformatore non ha affrontato direttamente l'indipendenza della magistratura giudicante. In realtà il problema del controllo sui giudici veniva ad assumere un valore relativo nel momento in cui sarebbero stati portati a giudizio solo quei reati e quegli imputati per cui il pubblico ministero dipendente dall'esecutivo era stato previamente autorizzato ad esercitare l'azione penale. Le esigenze di controllo sui giudici si sono così risolte in un programma più sottile ed indiretto di sacrificio dell'indipendenza dell'intera magistratura, che ha toccato la composizione e le funzioni del Consiglio Superiori della Magistratura. Al riguardo, sono state avanzate proposte miranti ad attribuire un peso maggiore alla componente laica del CSM, eguagliando il numero dei componenti togati o addirittura rovesciando l'attuale proporzione di 1/3 e 2/3. Anche la designazione dei componenti laici è stata oggetto di proposte di revisione, ad esempio mediante l'attribuzione al Presidente della Repubblica del potere di nominare un certo numero di componenti non magistrati. Ove si tenga conto che nel disegno costituzionale l'autonomia dei singoli magistrati è assicurata dalla competenza esclusiva del CSM per tutti i provvedimenti riguardanti il loro stato giuridico (immissione nei ruoli, assegnazione delle sedi, trasferimenti, attribuzione degli incarichi direttivi, azione disciplinare), è evidente che il mutamento della composizione del CSM e/o la modificazione dei criteri di designazione avrebbero avuto effetti sulla sfera di indipendenza dei singoli magistrati. Questi avrebbero infatti visto la loro sorte affidata ad un organismo collegiale in cui sarebbe stata prevalente la componente politica, trovandosi così esposti al rischio di eventuali provvedimenti relativi al loro 26