PER UN MUSEO DEL CINEMA di Sergio Toffetti i P rogettare un nuovo museo, e nel caso del Museo Nazionale del Cinema di Torino, si può sostanzialmente parlare di un museo da riprogettare ex novo, è sempre un'operazione a rischio, perché in fondo, l'ambizione resta sempre quella di ipotizzare un nuovo ordine del mondo, di sovrapporre alla vita un nuovo modello ordinatore. È dunque naturale che l'operazione nel caso di un museo dedicato al cinema diventi ancora più rischiosa, visto che in questo caso il mondo che deve diventare museo si è spesso autorappresentato addirittura come «bigger than life», più grande della vita stessa. Ma riprendiamo con ordine. Per il Museo del Cinema il progetto di trasferimento in una nuova sede non rappresenta soltanto un necessario adeguamento della struttura fisica all'importanza delle collezioni. I lavori di progettazione, l'aggiornamento della schedatura, il nuovo allestimento dei materiali offrono infatti l'opportunità dì riprogettare l'affascinante Wunderkammer costruita da Maria Adriana Prolo, per trasformarla, seguendone il naturale processo evolutivo, in una moderna istituzione culturale. In questa prospettiva, la decantata ricchezza dei fondi del Museo del Cinema non può certo bastare, da sola, a garantire il successo dell'impresa, perché oggi un museo non può essere concepito come la sommatoria, variamente ordinata, dei suoi materiali, senza una forte idea progettuale che sappia prefigurarne ambiti e prospettive. Le collezioni del Museo si sono formate attorno ad un'idea di cinema forte, ma storicamente determinata. Si tratta ora di tornare ad esplorare l'orizzonte a tutto campo, ritrovando - se si vuole - l'originalità d'inventiva che ha caratterizzato il lavoro della Prolo. La definizione del campo è forse il primo problema da affrontare nel delineare un progetto di Museo del Cinema. Soprattutto oggi, in un periodo in cui gli studi sul cinema - «medium impuro», campo ambiguo per eccellenza - attraversano un momento di radicale ridefinizione del proprio spettro d'interessi, che mette alla prova metodi d'analisi, strumenti e valori critici consolidati. Per circa un secolo il cinema sembra aver perseguito il sogno orgoglioso di una «specificità onnicomprensiva» che lo ha condotto a fagocitare disinvoltamente sia i dati della realtà, sìa le arti precedenti, proponendosi come la realizzazione del sogno wagneriano della «gesamtekunstwerke», l'opera d'arte capace di inglobare in sé tutte le altre. Arte impura per definizione, il cinema recupera infatti dal confronto con la storia delle arti gli elementi fondatori della propria esistenza: Io spazio epico del romanzo, il ritmo della musica, la plasticità, la figurazione, il concetto teatrale di messa in scena, e soprattutto quel «transfert di realtà dalla cosa alla sua riproduzione» che costituisce l'«ontologia dell'immagine fotografica». Alle soglie del 2001 questo linguaggio fluttuante, di cui non si è ancora ben riusciti a delimitare i confini, corre il rischio di dissolversi nella galassia dei media, annullato dalla televisione, vera e propria neolingua orwelliana che consuma e prolunga al tempo stesso la propria esistenza in un presente continuo. Ed è certamente per salvaguardare la propria identità minacciata dalle insidie del tempo piatto della televisione, che la riflessione teorica sul cinema, riprendendo discorsi che sembravano inesorabilmente tramontati, torna oggi a guardare alla storia dell'arte, non più per difendere uno «specifico», quanto piuttosto per riallacciare i contatti con la tradizione e definire anzi il proprio posto nel mondo «come una delle belle arti». Delineare a priori un modello forte di museo del cinema, si rivela così particolarmente arduo perché è il cinema stesso che cerca il suo modello: incerto com'è dell'effettiva rispondenza delle sue storie già scritte grazie alla nuova archeologia dell'immagine; indeciso circa la liceità di nuove definizioni gerarchiche dopo le tempeste della semiologia; reso insicuro per le sue sorti negli anni a venire dalle sempre più invadenti interferenze elettroniche. Il Museo Nazionale del Cinema non può dunque contare, per la sua nuova fondazione, sulle riposanti certezze che potrebbero derivargli dall'assunzione immediata di sintesi teoriche altrove precostituite. E, in questo senso, la scelta dell'itinerario che dovrà condurre alla nuova sede, lungi dall'essere indifferente, è destinata ad influenzare in modo determinante il risultato finale e va perciò intesa come parte integrante, a pieno titolo, della futura attività museale. La 9