208 L'ECONOMISTA 13 luglio 1919 - N. 2358 periodico da oltre quaranta anni è stato paladino, e la imposta straordinaria sul patrimonio, riscuotono la nostra incondizionata approvazione. Il sacrifizio che dovrà sostenere il Paese sarà per qualche anno pesante, ma da esso potrà uscire così notevolmente rinsaldato e così fieramente lieto di avere ben superata la crisi odierna, la quale del resto non presenta alcun sintomo pauroso, da trovare indubbio compenso alle sofferenze del passato. Il caro-viveri. Vorremmo poterci esimere dal manifestare la nostra opinione intorno ai fatti che in questi giorni sono accaduti in tutto il Paese come reazione alla elevatezza dei prezzi dei generi di consumo, tanto ci amareggia vedere aggiungersi nuova causa di disagio e di sofferenze, a quelle non lievi preesistenti. Comprendiamo perfettamente che i produttori ed i negozianti, di fronte alle condizioni dei consumatori i quali mostrano in mille forme e sotto molteplici aspetti di avere disponibilità di mezzi di acquisto ben superiori al normale, tentassero di trarne il maggiore vantaggio e mirassero ad aumentare i profìtti fino al limite massimo loro consentito; limite che per la scarsezza dei prodotti e quindi per mancanza di notevole concorrenza poteva essere facilmente e gradatamente rialzato a punti talvolta eccessivi. Comprendiamo perfettamente la reazione dei consumatori i quali ad un certo momento, ed attraverso le fasi delle agitazioni, hanno voluto imporre ai produttori ed ai negozianti stessi una parte del sacrifìcio, obbligando a vendere a prezzi talvolta inferiori al costo, sotto la minaccia del saccheggio e delle violenze. Non a torto forse essi vollero che in qualche modo i guadagni facili e lauti compiutisi durante la guerra dai venditori, concorressero in parte a diminuire, sia pure temporaneamente, l'odierno disagio. Tutto ciò è oggi un fatto compiuto e si può in certa misura intendere, spiegare, forse anche giustificare. Le conseguenze però dei fatti svoltisi nei giorni decorsi sono quelle che possono vivamente e seriamente impressionare; che si sia risolta coi prezzi d'imperio (prezzi politici, come giustamente li chiama l'illustre prof. M. Pantaleoni) la deficienza dei generi, è cosa troppo lungi da ogni evidenza per dover essere dimostrata. Che invece la produzione, ed in specie quella agricola, sarà una volta di più disturbata e distratta dalla sua funzione di alimentare il paese, è cosa purtroppo temibile, se non quasi sicura. Che il contadino, filosofo ed avveduto, artefice della guerra, e privo di quei benefìci di sicurezza e di salari, che ha potuto godere l'operaio delle città, durante i quattro anni de! pericolo, si induca a sudare e ad affannarsi, per alimentare l'operaio cittadino, senza trarne profìtto, o col limitato esiguo profìtto che può essere lasciato da prezzi di calmiere eccessivamente bassi, è cosa che ci sembra oltremodo dubbiosa, per non dire quasi certamente impossibile. E qui noi vediamo tutto il pericolo della situazione futuri, nella quale nel produttore dominerà la incertezza, che nuove agitazioni e nuove politiche condiscendenze rendano possibile l'applicazione di prezzi politici inferiori ai prezzi economici. E che il problema sia grave e senza prospettiva di una soluzione rapida ed immediata appare dalle stesse provvisioni del Governo, il quale mentre proclamava la opportunità del ritorno alla più ampia libertà di commercio, non ha saputo sottrarsi all'imposizione di far rinascere i prezzi di calmiere, l'esperimento dei quali ha ormai troppe volte dimostrato, come contribuisca a far sparire la merce dai mercati, non già a farla aumentare. Nè è ancora giunta dal Governo una parola la quale affermi di avere deliberate od assicurate facilitazioni di prezzo, di trasporto, di cambi di ogni sorta, per l'acquisto di derrate all'estero, al fine di gettarle con larghezza sul mercato italiano, in modo che alcuni principali generi possano colla loro abbondanza determinare prezzi meno elevati. Dal governo emanano di giorno in giorno provvedimenti sempre più complicati e contorti, sempre più artificiali e insufficienti, mentre le derrate mancano o sono deficienti, e il popolo, che non si sente nè guidato, nè sorretto da una politica sicura e fattiva resta abbandonato alle pazzie carnevalesche, che determinano sperperi, delusioni, e dolorose reazioni. Eppure il Belgio dovrebbe pur insegnare qualche cosa ! Il predomìnio economico-finanziario degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti, debitori verso l'estero, alla vigilia del conflitto europeo di dollari 3 1/2 miliardi, alla fine del quarto anno di guerra ne erano divenuti, invece, cre.ditori di circa 6 miliardi di dollari. Il raffronto di queste due cifre rivela il mutamento radicale avvenuto nella posizione internazionale della Confede-zione nord-americana ; ma se si pone mente alla brevità del periodo in cui esso si è prodotto, risulta evidente che l'adattamento al nuovo stato di cose non può non aver dato luogo a turbamenti più o meno sensibili nel regolare svolgimento dei fenomeni economico-finanziari e monetari, e, inoltre, non trovarsi ancora lungi dall'essere terminato. In realtà, non soltanto la evoluzione verso una diversa esplicazione dei rapporti degli Stati Uniti con gli altri mercati è tuttora incompiula, ma nei dieci mesi trascorsi dalla data aìla quale si riferiscono le cifre citate, la situazione di paese creditore dei mercati stranieri si è, per il Nord-America, ulteriormente accresciuta d'importanza. In cifra rotonda si ritiene che il debito attuale dei Governi esteri verso gli Stati Uniti debba oggi valutarsi a 9 miliardi di dollari, e che aggiungendo le obbligazioni straniere assorbite dal mercato americano, al momento della firma della pace questo possa fare assegnamento su una entrata annua dall'estero di dollari 500 milioni soltanto per interessi. Supponendo che la sanzione ufficiale della fine della guerra valesse a rendere l'estero non più tributario di merci e prodotti degli Stati Uniti in misura eccezionale come nel periodo bellico, ma soltanto nelle proporzioni del tempo che lo precedette, ci troveremmo dinanzi ad una eccedenza delle esportazioni nordamericane sulle importazioni di doli. 500 milioni all'anno. In tempi normali questa era compensata dagli interessi su titoli americani posseduti da stranieri, da noli e essicurazioni pagati a ditte estere, dalle spese effettuat dagli Yankees nei lorp viaggi ; ma se anche si può prevedere che queste ultime, a pace ristabilita, possano superare il livello precedente la guerra, non v'ha dubbio che la importanza dei valori americani collocati all'estero sia, negli ultimi cinque anni, straordinariamente diminuita. Se ne può dedurre che al mezzo miliardo di dollari annuo rappresentante gl'interessi su prestiti contratti agli Stati Uniti, i mercati stranieri dovranno aggiungere una somma non indifferente sia per l'aumento inevitabile delle esportazioni americane rispetto al tempo di pace, e quindi dello sbilancio commerciale a credito degli Stati Uniti, sia per il minor prodotto delle partite compensatrici più sopra indicate. Non occorre aggiungere che fra esse, quella concernente i noli è pure destinata a subire forti falcidie per il tonnel-