Bentley ed altri ribaltano il
problema; lo Stato non
esiste se non come gruppo,
magari come gruppo dei
gruppi. Ma si pensi anche al
sindacalismo rivoluzionario,
al socialismo delle ghilde
ecc... Sono tutte teorie che
fanno dei gruppi i cardini
dello Stato; ma, ammettendo
i gruppi, ritorna la
rappresentanza di interessi
che nega il principio
democratico di divieto del
mandato imperativo.
// modello democratico
presuppone il principio di
maggioranza come procedura
di decisione collettiva. Su
questo punto oggi si discute.
È una procedura che vate
per gli individui, ma per i
gruppi?
Questo è un punto
essenziale. Una decisione la
si può prendere a
maggioranza o all'unanimità.
Negli accordi bilaterali
occorre l'unanimità, in quelli
multilaterali basta la
maggioranza.
La democrazia si regge sul
principio di maggioranza, ma
la regola di maggioranza
presuppone enti
perfettamente uguali, anche
se convenzionalmente uguali.
Non si possono contare se
non entità omogenee. Se
queste unità sono agli
individui dichiarati uguali il
calcolo è possibile. La
rappresentanza individuale
non pone problemi. Ma
nella rappresentanza di
interessi, come può valere la
regola di maggioranza, se
non vi è un principio su cui
basare il calcolo? Si possono
contare le teste, o gli Stati
considerati come enti
parificati ma non, ad
esempio, le categorie
professionali. Gli Stati non
sono ovviamente uguali,
come non lo sono del resto
neppure gli individui; ma per
una finzione giuridica li
consideriamo uguali, perché
solo così possiamo contarli.
Questo avviene nelle elezioni,
nei parlamenti, nelle
assemblee dell'ONU. Ma le
categorie, i gruppi?
Possiamo considerarli uguali?
E qual è allora il criterio
per contarli? 11 presupposto
ontologico dell'eguaglianza
può valere per gli individui,
non per le categorie. Si
badi: che si tratti di un
presupposto metafisico non
v'è dubbio, tanto è vero che
a seconda delle epoche la
cittadinanza politica cambia
e include o esclude certi
settori (schiavi, donne,
analfabeti). Però la regola
della maggioranza valeva per
tutti coloro che erano
considerati uguali, in
qualsiasi assemblea, anche la
più aristocratica, nel senato
romano come nel Gran
Consiglio veneziano o nel
Gran Consiglio del fascismo
(Mussolini cadde per essere
andato in minoranza).
L'uguaglianza dei soggetti,
dunque, rende possibile la
quantificazione e il principio
di maggioranza come regola
di decisione collettiva. Ma
nella rappresentanza di
interessi la quantificazione è
impossibile. Come
quantifichi? Quali sono le
unità? Quanti voti dai agli
industriali, agli operai, ai
medici? Dai un voto ad ogni
ceto? È un vecchio problema
e una vecchia disputa che
risale almeno alla
Rivoluzione francese e che
rieccheggia oggi.
L'esempio dell'attuale
conflitto tra i sindacati
italiani prova quanto sia
diffìcile applicare la regola
di maggioranza quando si
rappresentano interessi: Lama
propone la regola
dell'unanimità, ossia un altro
modo di prendere decisioni
collettive; oppure propone di
ricorrere al referendum, ossia
di contare le teste e di
decidere a maggioranza non
tra gruppi ma tra individui.
In conclusione: uno dei
punti di crisi della
democrazia consiste nel fatto
che uno dei principi
fondamentali delle regole del
gioco, la regola di
maggioranza, è di difficile
applicazione nello Stato
pluralistico e nella
rappresentanza di interessi.
Concludendo, in una società
di gruppi, pluralistica, la
rappresentanza di interessi
non è eliminabile.
MATERIAU DI
DISCUSSIONE
LE RIFORME
ISTITUZIONALI:
QUALI ASPETTATIVE
DALLA POLITICA?
Argomenti
e parabole
sui riformatori
razionali
di Salvatore Veca
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