46 VALERIO CASTRONOVO liana (tanto più vulnerabile per le devastazioni belliche) a una prova insostenibile. C’era tuttavia un motivo di forte rilevanza politica che militava a favore di un mutamento di rotta, e a cui erano sensibili, in via di principio, tutti i partiti emersi sulla scena dopo la Liberazione. Ed era l’esigenza di smantellare le bardature del dirigismo autarchico e corporativo fascista, in quanto si considerava il nazionalismo economico, al pari di quello politico, uno dei tratti caratterizzanti dello Stato totalitario. ;........... Di fatto, l’equazione fra libertà politica e libertà d’iniziativa, rifiorita sulle ceneri della dittatura fascista, fu la leva che diede modo ad alcuni economisti, fedeli ai princìpi ancorché più ortodossi dell’economia classica, non solo di invocare il ripristino senza alcuna variante degli automatismi di mercato, ma di accedere ad incarichi di notevole importanza. Così avvenne per i più autorevoli esponenti della scuola liberista, da Einaudi a Epicarmo Corbino. Il primo come governatore della Banca d’Italia fin dal gennaio 1945. Il secondo come ministro del Tesoro, in rappresentanza del partito liberale, nel dicembre dello stesso anno, quando De Gasperi successe a Parti. Ma il prestigio scientifico non sarebbe bastato ad assicurare loro il ruolo preminente che essi avrebbero finito per esercitare nell’impostazione della politica economica, se non vi avessero concorso altri motivi e altre circostanze. Determinante fu, innanzitutto, il fatto che, rispetto al disegno perseguito con fermezza e coerenza dai liberisti, non emerse una linea alternativa altrettanto chiara e omogenea. Nei programmi delle principali forze politiche abbondavano le enunciazioni di principio e le dichiarazioni di intenti, ma ben poche erano le proposte concrete. Né maggiori lumi vennero dai lavori della Costituente che sui temi dell’economia si risolsero in una sorta di torneo oratorio, fra dispute ideologiche e dissertazioni accademiche. D’altro canto, in sede governativa, si trascinò a lungo senza alcun esito la controversia sul progetto del cambio della moneta con cui s’intendeva eliminare, mediante un’imposta straordinaria, la liquidità eccessiva e colpire gli arricchimenti illeciti. Bloccato dapprima dai liberali (preoccupati che un progetto del genere potesse costituire il preludio di un indirizzo dirigistico), esso venne poi accantonato, anche per difficoltà pratiche d’attuazione. Fatto sta che, nell’impossibilità di trovare su questa misura un accordo politico o un’efficace soluzione tecnica, si finì per soprassedere a qualsiasi altra decisione impegnativa sul versante economico.