GIOVANNI AMENDOLA E GLI ECONOMISTI DEL SUO TEMPO
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mente prevede che una volta compiuta fino in fondo l’identificazione fra fascismo e stato, «anche i fiancheggiatori o gli amici silenziosi del fascismo s’awedranno dell’impossibilità di vivere sotto questo regime, e si andrà allo sfasciamento». Il commento di Ojetti è che Amendola «non trova un appoggio nella realtà d’oggi. La politica non è per lui un’arte del possibile. E diventata per gli oppositori una religione da martiri, e più pochi si è, più tremendi sono i doveri verso i santi principi. Ogni giudizio d’Amendola è morale, non politico. Ma vedere questo galantuomo d’alta cultura e di limpido ingegno dalle vicende condotto alla solitudine e presto all’esilio, mi fa pena [...]»108.
    La parabola di Giovanni Amendola, critico liberale del cattivo funzionamento delle istituzioni liberali in Italia per mancanza di senso morale nella vita pubblica, è da assimilarsi alla parabola degli economisti liberali - che è riduttivo definire «liberisti» - come Antonio De Viti de Marco, che nel 1929 doveva scrivere:
    «Noi avemmo in comune col fascismo un punto di partenza: la critica e la lotta contro il vecchio regime.
    La nostra critica, però, intesa a creare nel paese una più elevata coscienza pubblica contro tutte le forme degenerative delle libertà individuali e del sistema rappresentativo, aveva pur sempre di mira la difesa e il consolidamento dello Stato liberale e democratico.
    Così il nostro gruppo fu travolto»109.
    Il dramma fu che tutti questi gruppi, sparsi nelle varie regioni d’Italia, non «riuscirono ad essere partito», come scrisse Luigi Einaudi riferendosi appunto ai liberisti110. Forse neppure vollero esserlo, per malinteso spirito aristocratico, per personalismi interni, per il gusto di restare minoranza pensante. Amendola era l’unico leader che poteva riunirli. Per questo fu colpito.
      108      U. Ojetti, I taccuini, 1914-1943, Firenze, Sansoni, 1954, p. 199. Anche Nitri afferma che Amendola in punto di morte «riconobbe il suo errore», di credere cioè che il re si sarebbe deciso a liquidare Mussolini grazie alla pressione dell’Aventino (F.S. Nrm, Scriverò un libro di memorie? (1942), in: Scritti politici, tomo I, Roma-Bari, Laterza, 1979, p. 140).
      109 Al lettore, in: Un trentennio di lotte politiche cit., p. LI.
      110      Per la storia di un gruppo che non riuscì ad essere partito, «Riforma sociale», 1931, pp. 309-311.