giovanni carano donvito meridionalista e liberale 167 poli più poveri sono invece quelli che vivono quasi solo dal reddito agrario, come la Spagna, la Russia, l'Italia Meridionale, l'Ungheria, ecc., ecc. [...]. Intanto avviene che i popoli che sfruttano insieme l'agricoltura, le industrie ed i commerci chiudono per regola il loro bilancio annuale con avanzo, che diventa già capitale pronto per nuovi investimenti, per nuova produzione di ricchezza [...]. I popoli invece che sfruttano solo l'agricoltura vivono nella più pericolosa precarietà, perché niente è più variabile ed incerto dei raccolti agrari; e perciò mentre i primi popoli durante le crisi agrarie possono aiutarsi con i redditi delle industrie e dei commerci e viceversa, i secondi, per contrario, quando vengano meno i prodotti della terra, cadono subito nella più grave miseria. [...] A tutto questo patologico stato di cose, intanto, non ha riguardo il nostro sistema tributario; esso presume un popolo che viva di tutti i vari redditi: dell'agricolo, dell'industriale e del commerciale, ed impone perciò gli stessi tributi tanto gli italiani del Nord, che effettivamente godono i vari redditi suddetti, quanto per gli italiani del Sud che vivono quasi unicamente dell' incerto e variabile reddito fondiario, e che perciò con questa sola fonte debbono pagare, come abbiamo già visto, tutto l'enorme carico tributario.23 Con lo stesso tono si apriva un nuovo studio, di quello stesso anno, che completava l'indagine sugli effetti dei tributi fiscali nei riguardi dell'endemica economia agricola del Mezzogiorno. Dopo aver passato in rassegna le molteplici concause che rendevano dannosa l'applicazione reale dell'imposta fondiaria sulle terre meridionali, Carano Donvito metteva a nudo uno degli aspetti più inquietanti dell'arretratezza di queste terre: la solita mancanza di capitali. Utilizzati, di anno in anno, per saldare la gravosa imposta fondiaria, i pochi capitali risparmiati, prima ancora di prendere la via dell'investimento, erano «mortificati» dal fisco. Essi venivano, così, irrimediabilmente «sempre più assottigliandosi ed incamerandosi da parte dello Stato: una vera confisca - dichiarava l'autore -, una vera espropriazione» perpetuata «a danno del proprietario».24 Sul finire dell'estate del 1904, intanto, l'economista pugliese è impegnato, insieme ai professori Emanuele Sella, Attilio Cabiati, Jacopo Tivaroni, Carlo Cassola, Augusto Jona, nel concorso per l'insegnamento di economia, statistica e finanza presso i Regi Istituti tecnici. In quella occasione veniva chiamata alla cattedra un'intera generazione di intellettuali che avrebbe recato «notevoli contributi alla scienza e alla pubblica ammi- 23 G. Carano Donvito, Il nostro sistema tributario e la crisi meridionale, «La Riforma sociale», X, 1903, pp. 1006-1022, ristampato in Id., L'economia meridionale prima e dopo il Risorgimento cit., pp. 192-218; i passi riportati sono alle pp. 216 sgg. 24 Id., La imposta fondiaria nella crisi meridionale, Macerata, Tip. Mancini, 1903, pp. 1-8, ristampato in Id., L'economia meridionale prima e dopo il Risorgimento cit., pp. 219-224; il passo riportato sopra è a p. 224. 15