148 MARIA LUISA PESANTE fatti.9 Se prendiamo, ad esempio, le sommarie indicazioni che ho dato di sopra sulla misura del debito pubblico in rapporto al reddito nazionale, che appaiono oggi ovvie, bisogna ricordare che esse produrrebbero in buona parte un anacronismo se usate direttamente come contesto di fatto per capire il dibattito sul debito che imperversava in Inghilterra nel Settecento. Il punto non è tanto che queste sono stime attuali, quanto che i rapporti a cui guardavano gli autori allora erano altri: il livello della tassazione necessaria a pagare il debito, e non tanto della tassazione come percentuale del reddito, individuale o aggregato, quanto delle variazioni storiche dell'ammontare della tassazione usate come indicatore della concentrazione del potere nelle mani dell'esecutivo. Per quanto esistessero, come vedremo, stime private, non officiali, del reddito nazionale, esse non erano praticamente usate. Né esistevano tentativi dell'esecutivo di raccogliere i dati, perché il concetto stesso di reddito nazionale non era formulato, se non eccezionalmente e approssimativamente (il termine corrente era 'wealth', in cui erano confusi il reddito e il capitale). Come si vede, anche solo questo banale rimando alle modalità di registrazione elementare dei fatti ci pone il problema del rapporto tra i fatti e le categorie, e ci mette in guardia contro l'assunzione che i fatti in sé venissero percepiti più o meno come può fare uno storico oggi, anche se le categorie erano diverse dalle nostre. Dall'altro lato, per Pocock, la formazione del discorso neoclassico su terra, commercio e credito, come momento della riformulazione del linguaggio dell'umanesimo civico è un fatto altamente interessante nella storia dei linguaggi politici, e in quanto tale può essere ricostruito indipendentemente dal suo rapporto con i fatti di cui il discorso tratta, perché i fatti rilevanti sono solo quelli stabiliti dal discorso stesso. Linguaggi e discorsi sono essi stessi fatti: «fenomeni storici più o meno duraturi, che disgraziatamente offrono su altri fatti informazioni che spesso noi non siamo in grado di accettare».10 Anche se si condivide questa posizione, rimane tuttavia aperta la questione del modo in cui all'interno di un discorso viene riconosciuto e affrontato il problema di stabilire i fatti. Alla convinzione di alcuni 9 Cfr. l'introduzione di Kramnick a H. St John, Viscount Bolingbroke, Politicai writings, New York, 1970, p. xiv («Bolingbroke's writings are best understood if looked at from a sociologica! perspective. His politicai writings are a product of his economie class and his occupational group in the life of Augustan England») che formula in maniera particolarmente netta una logica storiografica per cui il modo in cui gli autori guardano ai fatti, e hanno o non hanno modo di conoscerli, diventa del tutto secondario rispetto al modo in cui semplicemente li vivono. 10 J.G.A. Pocock, Between Gog and Magog: The republican thesis and the ideologia americana, «The Journal of the history of ideas», XLVIII, 1987, p. 329. Sul modo solo indiretto in cui lo storico può usare i fatti pertinenti, ma esterni al discorso cfr. J.G.A. pocock, Introduction: The state of the art, in Id., Virtue, commerce, and history, Cambridge, 1985, pp. 12-13.