IV. UN ECONOMISTA NEL CONSIGLIO DI COMMERCIO DI TORINO rifarsi del cattivo funzionamento dei loro impianti e quindi dei maggiori scarti di produzione, accusando i filandieri.47 Bisognava quindi prendere atto del fallimento della legge sui ‘consumi’ e ristabilire la situazione precedente, perché, secondo l’economista, spettava al mercato determinare attraverso la libera contrattazione il prezzo della seta grezza ed era in ultima analisi la concorrenza a stabilire quali fossero le imprese capaci di mantenersi ‘a galla’ e produrre buoni filati. Con molta chiarezza egli concludeva che: Non essendovi pubblica legge per la fissazione dei consumi, chi presenta la sua seta per ridurla in organzino, conviene del prezzo per la fattura. Il padrone del filatore la visita, ne fa l’esperienza, e se ritrova o abbia difetti, o soggiaccia ad un consumo troppo forte dimanda un prezzo maggiore, e con questo chi ha filato male, o comprato seta senza visitarle resta castigato dalla natura stessa della cosa. Che se poi il padrone del filatore per sua inavvedutezza non disamina bene la seta prima di convenire del prezzo della fattura, e si trova ingannato per la cattiva qualità, o per il maggior consumo a cui soggiace, tanto peggio per lui.48 La memoria di Donaudi finiva dunque per capovolgere l’intera impostazione governativa: intervenendo sui prezzi si era messo a rischio l’intero settore serico e per favorire pochi si erano compromessi gli interessi essenziali di lungo periodo dello stato. Ma la soluzione ‘liberista’ sostenuta dall’economista non rispondeva alla volontà teorica e ‘dogmatica’ di ridurre a tutti i costi l’intervento pubblico. Egli, piuttosto, denunciava una legge che distorceva i meccanismi di mercato e aiutava unicamente i soggetti più forti. Al contrario una buona politica avrebbe dovuto favorire il miglioramento della concorrenza sanando situazioni di oligopolio, come si sarebbe potuto fare costituendo a Torino un pubblico magazzino per i piccoli filandieri, in modo da sottrarli agli speculatori, permettendo loro di pagare il giusto per il deposito delle merci e ricevere gli anticipi sulla vendita senza subire ‘grassazioni’.49 Malgrado la forza degli argomenti l’intervento dell’economista non modificò la politica adottata da Vittorio Amedeo III. I grandi negozianti torinesi avevano argomenti ben più persuasivi e per tutto il 47 Ivi, pp. 12-13, «Soggiungerò che fissata la legge del consumo i padroni dei filatoi, lungi dall’avere una spinta per ridurli in buono stato, pare anzi che abbiano un interesse maggiore a lasciar continuare le cose in disordine [...]. Generalmente si pretende che avendo i fatturanti la legge in loro favore reclamano con facilità, sicuri che ad un modo o ad un altro la cosa non può che tornare a loro vantaggio: mentre molti venditori si sottomettono di buon grado ad una buonificazione piuttosto che si divulghi per la piazza che le loro sete sono di cattiva qualità, ed avere a entrare in lunghi dissidi e difficili questioni». 48 Ivi, pp. 11-12. 49 Ivi, p. 6. — 299 —