III. DA BORGHESE A NOBILE: UN CONTRASTATO CAMMINO che un tale matrimonio indubbiamente significò nascondeva però alcune ombre.37 Gli Avogadro erano un gruppo potente, ma anche molto distante come capacità di influenza da Torino. Erano insomma una nobiltà di primo rango, ma fortemente insediata in provincia (in particolare il ramo di Col-lobiano aveva come centro dei propri interessi Biella, ove risiedeva).38 La prima parte del 700 aveva visto peraltro sia indebolire il rapporto con la corte sabauda sia una certa crisi patrimoniale della famiglia. Nel corso del ’600 molti dei ‘referendari’ di Vercelli erano stati espressi dagli Avogadro di Collobiano. La solidità di questi rapporti con il centro sembra incrinarsi durante i regni di Vittorio Amedeo II e Carlo Emanuele III, dal momento che sia Ottavio Felice, sia il figlio Ludovico Francesco, non risultano essere stati impiegati né nell’esercito né in altre cariche dello stato.39 Al contrario, gli Avogadro furono coinvolti in processi «per abuso di titoli nobiliari» a seguito di un’inchiesta sulla verifica dei titoli avviata tra il 1769 e il 1770. Insieme agli Avogadro furono colpite numerose altre famiglie della vecchia feudalità, le quali si fregiavano di titoli come conte, che in realtà, proprio a causa dell’antichità della loro distinzione, non avrebbero potuto utilizzare in quanto ‘semplici’ vassalli. Tale inchiesta non aveva nessuna intenzione ‘antifeudale’, come quella a suo tempo voluta da Vittorio Amedeo II nel 1720. Il suo scopo era di spingere i rappresentanti di tale nobiltà a comperare lettere patenti dai Savoia che certificassero l’erezione in feudi comitali dei possedimenti che da secoli detenevano in qualità di ‘signori’, garantendo per questa via nuovi incrementi agli introiti delle Finanze regie.40 Questo allentamento dei rapporti con i Savoia fornì forse agli Avogadro l’occasione per cercare di riassestare il patrimonio di famiglia. Risalgo- efficaci attraverso l’attivazione di legami orizzontali con amici o parenti influenti, in particolare con quelli che tengono gradi elevati nell’amministrazione dei poteri pubblici», cfr. S. Marchisio, Ideologia e problemi dell'economia familiare nelle lettere della nobiltà piemontese (XVII-XVIII sec.), «Bollettino storico-bibliografico subalpino», LXXXIII, 1985, pp. 117-118. 37 Per un’idea dell’importanza attribuita dalla famiglia Donaudi al matrimonio fatto da Ignazio con Rosa Avogadro, è interessante notare come nel testamento del cugino di Ignazio, Benedetto Andrea Donaudi, redatto nel 1772, quest’ultimo legasse a «Madama Donaudi Avogadro moglie di detto aw. Ignazio Michel Angelo Donaudi mia Cugina un egretto di diamanti del valore di lire 2.400 di Piemonte». Il diadema di Rosa Avogadro era il dono più prestigioso tra i molti che il generoso Benedetto Andrea fece ai suoi cugini, alle sue cugine e ai suoi nipoti. Cfr. AST, IT, 1795,1. 12, c. 801. 38 L’alleanza dei negozianti con nobiltà blasonate, ma di provincia, è un fenomeno che ha riscontrato anche Levati per Milano, e che egli spiega come risposta al rifiuto dell’élite aristocratica milanese ad accettare direttamente negozianti nelle proprie file, cfr. S. Levati, La nobiltà del lavoro cit., p. 52 e sgg. 39 Cfr. A. Manno, Patriziato subalpino cit., voi. II, pp. 122-123, ad vocem Avogadro. 40 Cfr. A. Merlotti, L’enigma della nobiltà cit., p. 68. — 127 —