GU INSEGNAMENTI DELL’INFLAZIONE TEDESCA POST BELLICA 119 quindi alterando produzioni e risparmi e quindi ancora 1' andamento produttivo e distributivo, che subisce continue ondulazioni, a seconda che il consumo predomina sul risparmio, e viceversa. E del resto non è affatto esatto neppure il dire che, sino a quando la ricchezza passa dalle mani di Tizio a quelle di Caio, la cosa resta indifferente, nel suo complesso, per l'organismo collettivo. Non è affatto indifferente che un milione di marchi resti nelle mani di un pigro imbecille, anziché in quelle di un creatore di industrie e di commerci. Di qui sorge l'interesse della intera società umana, affinché si formi una salda élite di uomini di affari, degni di questo nome. Uno dei mali della redistribuzione tumultuaria delle ricchezze in forza di occasioni improvvise, come è nel caso della guerra, è precisamente quello del modo con cui essa modifica l’andamento delle fortune private. 12. — La conclusione della poderosa opera del Bresciani-Turroni riguarda principalmente i « residui » che rimangono ad ostacolare il ritorno alla normalità economica dopo una lunga e totalitaria guerra. E, naturalmente, lo conduce a fare le sue osservazioni, sempre precise ed acute, su quello che costituì il punto decisivo della situazione: e cioè lo spezzarsi del perno di tutti i problemi economici, e cioè il valore del metro economico, ossia della moneta. Onde era ben logico che il nostro autore iniziasse le sue conclusioni dalle esperienze monetarie di quell’epoca, soffermandosi innanzi tutto sul «principio quantitativo », attribuito a Davide Ricardo (1). In fondo, una « teoria quantitativa » si applica a qualsiasi fenomeno economico ed è insita ad esso. Toccava alla scuola matematica del Walras-Jevons-Pareto di far compiere all’economia il passo decisivo verso una vera « scienza », fornendole quei principi generali, che permettono di impostare qualsiasi problema economico su basi logiche e trarne con esattezza tutte le conseguenze. Ritornando al punto nostro, confesso che non mi sento di unirmi a tutte le critiche che vennero rivolte ai governi in genere alla fine della grande guerra. Lo smontare la macchina bellica dopo l'ottobre del 1918, era tale problema da far tremare le vene e i polsi, specialmente ove si tenga conto delle conseguenze politiche e spirituali di cui il grande conflitto fu origine. Nessuno stato seppe con precisione, sino all’ultimo, quando la guerra si sarebbe chiusa: quindi le ordinazioni belliche crescevano con ritmo progressivo, per aumentare sempre più il potenziale di resistenza e di offesa. E le aziende private, incitate dall’opinione pubblica ad accrescere senza posa le armi della vittoria, ampliavano fabbriche, accrescevano il macchinario, si impegnavano ad acquisto di materiali. L’economia non valeva niente, di fronte alla necessità ed al valore della vittoria. E in questo ordine di idee erano tutti quanti, compresi quegli economisti fra noi i quali sorridevano, quando sentivano le masse esaltare la grandezza delle indennità da riscuotersi dai vinti, già ridotti agli estremi. E neppure era possibile pensare di smontare di un colpo la macchina bellica, non appena il nemico desse segni di possibile resa. La teoria « quantitativa » trion- (1) Su questo punto mi permetto per una volta tanto di ricordare un mio recente studio, nel quale ho cercato di scagionare Davide Ricardo degli errori imputatigli in materia.