192            LA RIFORMA SOCIALE — ANSO III • VOL. VI
¡'individualismo, del quale l'operaio si lagna, gli deve essere attribuito per lo più per non associarsi nella produzione, come non si associano nel consumo ; preferiscono per lo più il salario certo all’incertezza dei guadagni ; domandano agli altri solamente quello che loro spetta. E tuttavia le associazioni cooperative, dalle quali essi non sono esclusi, e che finalmente da loro dipendono, erano forse mezzi sufficienti per correggere, quanto più era possibile, l’individualismo e realizzare praticamente l’unico socialismo accettabile. Per quelli che non possono lottare in eguali condizioni, per le donne e pei fanciulli, la tutela sociale si ritiene indispensabile. Disprezzando questi mezzi, perù, contraddicono ai principii astratti su cui pretendono basarsi, ed esigono dagli altri, da quelli che li considerano loro nemici, la giornata normale di lavoro, l’alimento di salario, con eguaglianza pei due sessi. La giornata normale di lavoro è un’assurditù di fronte all’enormitii dello sforzo; ognuno produca solamente quello che può senza pregiudizio della propria conservazione e sviluppo, si capisce; ma limitare egualmente questo sforzo in condizioni disuguali all’individuo e della propria natura del lavoro, non si può comprendere senza ammettere gravissime ingiustizie. Dopo, chi può legittimamente limitare quello sforzo ?
   Perchè domandare alla società quello che dipende solamente dall’operaio?
   Perchè domandare raimiento del salario senza rendersi ragione se l’industria lo può concedere? In Portogallo come in tutti i paesi civilizzati i salari ci rivelano grandi disuguaglianze, le quali non sono, esclusivamente, figlie di una concorrenza brutale, ma bensì di uno spirito di giustizia e di equità, al quale presiedono le diverse condizioni del lavoro e della industria. Pertanto, eliminare interamente quelle disuguaglianze sarebbe proclamare come principio la più rivoltante ingiustizia. Nell’eguaglianza di necessità si può ragionevolmente ammettere come criterio della retribuzione, perchè quelle stesse necessità sono variabili fino all’infinito nella misura delle condizioni speciali di ogni individuo. Il proprio limite inferiore, risultato come l’indispensabile alla conservazione e svolgimento dell’individuo, ha in teoria lo stesso valore che può avere il punto matematico, ammesso per una necessità di spirito, ma il suo valore pratico è tutto dipendente dalle circostanze di tempo, di luogo e di modo.
   Nel periodo normale di 300 giorni di lavoro, in ogni anno il lavoro giornaliero si considera tra i limiti di 7 a 15 ore, con una media ordinaria di
10  ore, attendendo alla differenza di sesso, di età e di professione. C’è pertanto in queste varianti assai più giustizia ed equità che nelle delimitazioni di un periodo certo e determinato, perchè quello che si può considerare esagerato per uno può certamente non esserlo per altri. Il riposo necessario per
11  ristauro e conservazione delle forze, deve essere in proporzione di quelle forze, attendendo non solamente al lavoro individuale, ma anche a quello che ognuno deve contribuire per la società. Questa proporzione non può stabilirsi a priori come è evidente. Nello stesso modo, per quello che riguarda la retribuzione del salariato, è d’uopo concludere che la meschinità, riconosciuta, di alcuni salari, non esclude l’eccesso degli altri, principalmente se li confrontiamo con quelli di certe professióni più costose nel tirocinio e negli ordigni